martedì 23 giugno 2009

Ue: "E' allarme debito" L'Ocse: "Da record spesa per le pensioni"


Bruxelles - "Gli squilibri interni dovuti all’elevatissimo debito pubblico possono colpire le vulnerabili finanze pubbliche italiane e possono portare ad un alto costo del capitale per l’intera economia, pesando perciò sulla sua crescita potenziale". Questo è il giudizio contenuto nel rapporto 2009 sullo stato delle finanze pubbliche della Ue, presentato oggi dalla Commissione Ue.
Rischi per la crescita Nel rapporto, dunque, la Commissione Ue si concentra sull’entità del debito pubblico italiano, che alla fine del 2008 si attestava appena al di sotto del 106%, "riflettendo anche - si spiega - l’accumulo precauzionale di asset liquidi operato dalla Banca d’Italia alla fine dell’anno". "La crisi finanziaria globale - si legge nel rapporto - ha portato ad un aumento dei rischi sui mercati finanziari, mettendo in luce la vulnerabilità dell’economia italiana derivante da un debito pubblico molto elevato. Lo spread tra gli interessi pagati sui bond italiani e tedeschi si è allargato più che nella maggior parte degli altri paesi della zona euro". E questi spread - spiega Bruxelles - sono destinati ad aumentare ancora e "aumenteranno il costo del debito nel lungo termine". La Commissione Ue, comunque, sottolinea come "nonostante l’elevato debito pubblico, che riflette l’accumulo dei deficit del passato, la bilancia dei pagamenti dell’economia italiana mostra una posizione sostanzialmente bilanciata nei confronti del resto del mondo, riflettendo un andamento complessivamente positivo della bilancia commerciale. E l’assenza di maggiori squilibri esterni - si spiega ancora - è lo specchio di una relativa solidità della posizione finanziaria nel settore privato. In particolare, le famiglie in Italia hanno un livello di indebitamento relativamente basso e continuano ad accumulare notevoli risparmi. Questo - conclude il rapporto - potrebbe essere dovuto in parte a un comportamento precauzionale di fronte alla fragile situazione delle finanze pubbliche italiane".
Allarme pensioni La spesa pensionistica in Italia assorbe circa un terzo delle uscite statali complessive, ovvero quasi il doppio rispetto alla media degli altri paesi Ocse. L'Ocse stessa sottolinea che la previdenza pesa per il 30% sul bilancio statale italiano, contro il 16% della media Ocse. In Italia la spesa pubblica per benefici a favore degli anziani "è la più alta nei paesi Ocse da alcuni anni" precisa l’organizzazione parigina sottolineando che "le pensioni assorbono quasi il 30% del bilancio dello Stato, rispetto a una media Ocse del 16%". L’Ocse mette quindi in guardia dal "rischio" che un sistema così concepito induca a sottrarre risorse di spesa pubblica a altri settori "preferibili" quali il welfare e l’istruzione. Quanto ai contributi pensionistici, in Italia raggiungono "quasi il 33% dei guadagni, contro una media del 21% negli altri paesi Ocse".
Riforme lente L’applicazione delle riforme delle pensioni in Italia avanza molto lentamente rispetto agli altri paesi dell’Ocse e inoltre molti dei cambiamenti "vitali" per la sostenibilità finanziaria dei costi del sistema previdenziale sono stati "ripetutamente rinviati". L’Ocse sottolinea in particolare la "preoccupazione per il rinvio dell’adozione dei nuovi coefficienti di trasformazione contributiva che - sostiene - sono un importante fattore per calcolare l’importo della pensione". La logica dei coefficienti è, a fronte dell’aumento dell’aspettativa di vita, di ridurre i benefici a parità dei tempi di uscita dal mercato del lavoro e di contributi versati. I coefficienti dovevano essere rivisti dopo 10 anni dall’avvio del nuovo sistema, quindi nel 2005. Le nuove regole stabiliscono che la revisione automatica parta nel 2010. "L’aspettativa di vita in Italia, così come negli altri paesi - avverte l’Ocse - ha continuato a crescere in questo periodo e il rinvio dell’introduzione dei nuovi coefficienti ha avuto un impatto negativo sul sistema". Al tempo stesso, gli economisti parigini sottolineano che "ci sono stati di recente altri ritardi nell’introduzione dell’aumento dell’età minima di pensionamento per anzianità". La riforma Damiano ha introdotto gli scalini modificando lo scalone Maroni che prevedeva l’uscita per anzianità dal 2008 a 60 anni con 35 di contributi. La riforma Damiano, invece, fissava la possibilità di uscita nel 2008 con 58 anni e 35 di contributi (59 anni gli autonomi) arrivando a quota 95 solo dal primo luglio di quest’anno.

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