giovedì 4 giugno 2009

OBAMA, LA VIA DEL DIALOGO ALLA 'PAX AMERICANA'


di Giampiero Gramaglia


ROMA - La 'pax americana' di Barack Obama non è la democrazia esportata coi carri armati di George Bush, ma è un esercizio di dialogo e di responsabilità condivise: un discorso più facile da leggere che da tradurre in pratica perché le vie insanguinate dei conflitti del XXI Secolo sono lastricate di buoni propositi rimasti lettera morta o infranti. Il presidente Usa preconizza la sua 'pax' nel discorso molto atteso fatto dal Cairo al Mondo islamico: un discorso talmente caricato, la vigilia, di speranze e di significati da rischiare di tradursi in una delusione solo perché le aspettative erano altissime. Ma Obama il retore, un po' predicatore e un po' incantatore, non ha deluso: il suo discorso è stato salutato da un consenso quasi generale. Il presidente nero prospetta "un nuovo inizio nei rapporti tra Stati Uniti e Mondo islamico" che devono essere basati sul rispetto e l'interesse reciproci: "il ciclo di sospetto e di discordia deve terminare". La pericolosità dell'approccio di Obama, per quanti vivono nel ciclo dell'odio delle guerre dei terroristi all'Occidente e dell'Occidente al terrorismo, era stata intuita da al Qaida, l'internazionale dell'estremismo integralista, i cui capi, Osama bin Laden e Ayman al Zawahri, avevano bollato l'uomo che viene in pace dalla Casa Bianca come un clone di Bush. Che non sia così, il discorso all'Università del Cairo lo dimostra. All'Islam, Obama dice "condividiamo valori comuni" e "la libertà di religione è essenziale per convivere": gli stereotipi sull'Islam, che è parte dell'America, vanno combattuti. La guerra in Iraq è stata una lezione cruenta: ha ricordato agli Usa la necessità di usare la diplomazia ogni qualvolta è possibile. Il presidente non rinuncia a priori all'opzione dell'uso della forza, ma privilegia le alternative del dialogo, della diplomazia, della persuasione. Per il Medio Oriente, Obama non ha ricette nuove: conferma e persegue la soluzione di due Stati, Israele e la Palestina, che convivano in pace e in sicurezza. I legami con Israele sono inattaccabili, ma la situazione dei palestinesi è intollerabile e le loro aspirazioni sono legittime. Quanto alla minaccia nucleare iraniana, Teheran ha diritto ad accedere al nucleare pacifico, a patto che aderisca al Trattato di non proliferazione: più carota che bastone. La risposta dell'uditorio al progetto di un nuovo inizio tra Stati Uniti e Mondo musulmano, tra Occidente e Islam, sostituendo allo scontro tra le civiltà il dialogo, è entusiasta. Le parole di Obama innescano reazioni positive (Hamas vi legge segnali di cambiamento e si dice pronta al dialogo), ma anche diffidenze e perplessità (ad esempio, in Israele). Le riserve e le ostilità maggiori arrivano da Teheran. Era quasi scontato, perché la linea anti-Usa era stata confermata, nei giorni scorsi, dall'autorità religiosa e dal presidente Mahmud Ahmadinejad: "L'America cambi nei fatti, non a parole". Grande, altrove, l'apprezzamento: nei Paesi arabi moderati, in Occidente, alla Santa Sede, in attesa dell'incontro, a luglio in Vaticano, tra Benedetto XVI e Barack Obama.. Il presidente nero dice: "E' più facile cominciare una guerra che finirla. E' più facile incolpare gli altri che noi stessi. E' più facile vedere cos'é differente piuttosto che cosa ci unisce. Ma dobbiamo scegliere la strada giusta, non quella più facile". Obama pensa che 'si puo' faré: resta da vedere, ora, se oltre ad indicarle, lui saprà percorrere, e aiutarci a percorrere, le strade giuste di un Mondo Nuovo.

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