domenica 29 novembre 2009

La lotta alla criminalità organizzata con il governo del mafioso Berlusconi: +87% arresti latitanti, +53% operazioni di polizia

Sicuramente con quel mafiosone di Berlusconi la criminalità organizzata starà tranquilla da quando c’è il premier.

Infatti

377 operazioni di polizia con un incremento del +53% rispetto ai 18 mesi precedenti che hanno portato a 3.630 arresti (916 di affiliati a Cosa Nostra, 571 alla ‘ndrangheta, 1.465 alla camorra e 498 alle organizzazioni pugliesi”. Sempre al 31 ottobre di quest’anno lo Stato ha potuto mettere a segno, poi, 282 arresti di latitanti (+87%) con la cattura di 15 latitanti tra i piu’ pericolosi ancora in circolazione ai quali vanno aggiunti i 37 latitanti arrestati e posti nella lista dei 100 piu’ pericolosi.

e ancora

Nel 2007 è stato sequestrato un patrimonio di 3,5 miliardi di euro, l’equivalente di una manovra finanziaria. Nel 2008 si è saliti a 4,5 miliardi e i numeri per il 2009 raccontano un ulteriore balzo verso l’alto: cinque miliardi e 372 milioni di euro, il 50 per cento in più rispetto ai 17 mesi precedenti all’aprile 2008.

In particolare in Campania bisogna rivendicare il Modello Caserta

Dalla strage di Castel Volturno in avanti il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, presiede un vertice regolare con investigatori e giudici a Caserta per coordinare lo smantellamento del clan dei Casalesi, il clan più feroce e di vertice che controlla il territorio. A un anno di distanza Maroni parla ormai di un “modello Caserta”, che ha portato all’arresto del superlatitante Giuseppe Setola e di altri 660 affiliati ai clan e al sequestro di 300 milioni di euro soltanto nel casertano

E infine riepilogo delle norme attuate dal Governo contro la criminalità organizzata

Norme antiriciclaggio, norme contro le infiltrazioni mafiose negli appalti pubblici, i benefici per le vittime della criminalità organizzata, norme che escludono dagli appalti chi non denuncia il pizzo, sequestri preventivi, norme per lo scioglimento dei comuni infiltrati, nuovi poteri per il procuratore nazionale antimafia e le norme molto più restrittive sul 41 bis, il carcere duro.

Questi provvedimenti un tempo erano gli auspici del giudice Giovanni Falcone, poi portati avanti da altre persone, da ultimo dal procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso

E poi ci si chiede perchè i pentiti accusano Berlusconi di mafiosità….

sabato 28 novembre 2009

Mafia, la ''rabbia'' di Marina: ''Fininvest infangata, killeraggio''


"Con riferimento alle affermazioni gravemente diffamatorie contenute in un articolo odierno di 'Repubblica', in cui si insinua che il 20% di Mediaset appartenga alla mafia, Mediaset agirà giudizialmente contro gli autori dell'articolo e il direttore responsabile di Repubblica". Così una nota dell'ufficio stampa di Mediaset. "L'azione verra' effettuata a tutela dell'onore e della reputazione di una societa' quotata al cui capitale partecipano primari investitori istituzionali, nazionali e internazionali, e piu' di 200.000 risparmiatori italiani".

E sempre in relazione all'articolo 'L'asso nella manica dei boss Graviano, i soldi del Cavaliere' pubblicato da 'la Repubblica', il presidente di Fininvest Marina Berlusconi replica duramente: ''Non e' degno di un Paese civile che la storia e il presente di un grande gruppo di livello internazionale, portato al successo dal lavoro, dal talento e dal coraggio di un grande imprenditore, di tutti coloro che con lui e dopo di lui vi hanno lavorato e vi lavorano, vengano cosi' vilmente e senza il minimo fondamento infangati e insultati da questi professionisti della diffamazione, della calunnia, della disinformazione''.

''Il 100% della Fininvest, come emerge incontrovertibilmente da tutti i documenti - aggiunge Marina Berlusconi - appartiene alla nostra famiglia, a Silvio Berlusconi e ai suoi figli. Cosi' e' oggi e cosi' e' da sempre, non c'e' mai stata una sola azione della Fininvest che non facesse capo alla famiglia Berlusconi''.

Inoltre, ''anni e anni di indagini e perizie ordinate proprio dalla Procura di Palermo, durante i quali e' stato rovistato in ogni angolo della nostra storia, si sono conclusi - aggiunge - con l'unico possibile risultato, sottoscritto dal consulente della stessa Procura: nell'azionariato Fininvest non sono mai entrati una lira o un euro dall'esterno, non esistono zone d'ombra. Ma tutto questo per chi persegue un preciso disegno politico di annientamento non conta nulla. L'importante e' mettere su, senza nessun appiglio minimamente credibile, una sconcertante operazione di killeraggio per la quale provo rabbia e disgusto''.

''Abbiamo gia' dato mandato ai legali di Fininvest - conclude Marina Berlusconi - di procedere sia in sede penale sia in sede civile, con un'azione adeguata all'enormita' della calunnia, nei confronti di Repubblica e dei signori Bolzoni e D'Avanzo''.

giovedì 19 novembre 2009

Cossiga: "Se Fini continua così, elezioni anticipate"



Intervista al Presidente emerito della Repubblica: "Napolitano dovrà certificare che non si può fare un altro Governo".

venerdì 13 novembre 2009

Processo breve, ecco il ddl: quando e come si applica


Estinzione del processo quando dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero sono passati due anni senza che sia stata emessa la sentenza. Stessa sorte per i procedimenti in appello che durino più di due anni dalla sentenza di primo grado. E identico epilogo per il passaggio dalla sentenza di appello a quella della Cassazione: i giudici dovranno impiegare due anni o il processo sarà estinto. Sono queste le principali norme contenute nel disegno di legge sul "processo breve" depositato oggi in Senato da Pdl e Lega. Le misure, si legge nel ddl, potranno essere applicate solo nei processi per i quali la pena edittale è inferiore nel massimo ai dieci anni, solo nel caso in cui l'imputato è incensurato (non si applicano nel caso in cui l'imputato "ha già riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, o è stato dichiarato delinquente o contravventore abituale o professionale") e - come prevede l'articolo 3 - si possono prevedere per "i processi in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, ad eccezione di quelli che sono pendenti avanti alla Corte d'Appello o alla Corte di Cassazione". In pratica il provvedimento potrà essere applicato solo ai procedimenti in primo grado.

Sono esclusi, inoltre, dalla "prescrizione processuale" reati come: l'associazione per delinquere, l'incendio, la pornografia minorile, il sequestro di persona, gli atti persecutori, il furto (se c'è l'aggravante di aver rubato in depositi adibiti alla custodia di armi o esplosivi oppure se il reato è commesso usando violenza o ad esempio in concorso con altre persone o se è commesso in uffici pubblici), la circonvenzione di incapaci, la riduzione in mantenimento o in schiavitù, reati con finalità di terrorismo o eversione, la fabbricazione illegale di armi da guerra, reati commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni sul lavoro, igiene sul lavoro o norme in materia di circolazione stradale, reati previsti dal testo unico concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti.

Al comma 2 dell'articolo 2 del ddl è prevista la sospensione dei termini sulla "prescrizione processuale": "Nei casi di autorizzazione a procedere, di deferimento della questione ad altro giudizio e in ogni altro caso in cui la sospensione del procedimento penale è imposta da una particolare disposizione di legge". Sospeso il corso delle nuove misure anche se "nell'udienza preliminare e nella fase del giudizio, durante il tempo in cui l'udienza o il dibattimento sono sospesi o rinviati per impedimento dell'imputato o del suo difensore, ovvero su richiesta dell'imputato o del suo difensore, sempre che la sospensione o il rinvio non siano stati disposti per assoluta necessità di acquisizione della prova" oppure "per il tempo necessario a conseguire la presenza dell'imputato estradando". L'imputato, secondo quanto prevede il testo del ddl, "non si applicano quando l'imputato dichiara di non volersi avvalere della estinzione del processo.

Processo breve, presentata la riforma. Il testo integrale


È stato depositato oggi al Senato il testo del disegno di legge del Pdl, sottoscritto anche dalla Lega, sul processo breve. Si tratta di 3 articoli che intendono attuare il principio della ragionevole durata dei processi sancito sia nella convenzione europea dei diritti dell’uomo (art. 6) sia nella Costituzione (art. 111). Primi firmatari sono il capogruppo e il vicecapogruppo del Pdl al Senato, Maurizio Gasparri e Gaetano Quagliariello. Il ddl, sottoscritto - oltre che da senatori del Pdl - anche dal presidente dei senatori della Lega Federico Bricolo, dal senatore Sandro Mazzatorta (Lega) e dal senatore a vita Francesco Cossiga, ha per titolo "Misure per la tutela del cittadino contro la durata indeterminata dei processi in attuazione dell'articolo 111 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea sui diritti dell'uomo". L’articolo 1 contiene misure per razionalizzare le procedure di equo indennizzo previste dalla legge Pinto, che trovano applicazione allorquando sia stato violato il diritto alla ragionevole durata del processo civile, penale o amministrativo. L’articolo 2 prevede l’estinzione dell’azione penale e, quindi, del processo per violazione dei termini di ragionevole durata. L’articolo 3 contiene infine disposizioni relative all’entrata in vigore della legge e all’applicazione delle norme sull’estinzione processuale. In particolare, nel comma 2 è specificato che le nuove norme si applicheranno nei processi in corso alla data di entrata in vigore della legge, ad eccezione dei processi che pendono avanti alla Corte di appello o alla Corte di Cassazione.

mercoledì 11 novembre 2009

Processo breve, domani il ddl in Senato. Pdl cerca iter rapido


Sarà presentato domani in Senato il disegno di legge sul "processo breve". La conferma è arrivata dal capogruppo del Pdl a Palazzo Madama, Maurizio Gasparri. Dovrebbero essere state dunque superate le difficoltà nella stesura di un testo, evitando di creare problemi al sistema giudiziario, in particolare alla celebrazione dei procedimenti in corso. I processi, secondo la nuova norma, potranno durare al massimo due anni per ogni grado di giudizio, quindi un totale di sei. Se così non fosse scatterebbe la prescrizione processuale. "Dobbiamo allinearci ai tempi di giustizia europei" ha aggiunto Gasparri, sulla scia di quanto già chiarito dal suo vice in Senato, Gaetano Quagliariello: "L'importante è che quando verrà approvato riporteremo i tempi dei processi in linea con i paesi Ue". La maggioranza non ha fretta, ma auspica comunque un iter parlamentare rapido. Iter già ipotizzato dal presidente della commissione Giustizia, Filippo Berselli: "Tra il via libera alla riforma dell'avvocatura e la data in cui è stabilito il termine degli emendamenti al disegno di legge sulle intercettazioni possono passare anche due o tre settimane, visto che l'opposizione chiederà sicuramente un po' di tempo. In quel vuoto si può inserire il ddl sul processo breve". Berselli chiede anche che l'approvazione venga accompagnata da un aumento di risorse: "La celebrazione sollecita di un procedimento è nell'interesse della giustizia italiana, ma è chiaro che una riforma di questo tipo necessita di maggiori fondi. La riforma è giusta e non si può dire: 'Ah ma ne può beneficiare anche il premier'. Quello è un discorso assolutamente inaccettabile". Il presidente della Camera Gianfranco Fini, che ieri ha siglato sul processo breve un compromesso con Silvio Berlusconi, ribadisce a “Otto e ½” le condizioni del lodo: “Sono convinto che reggerà a meno che il testo che verrà presentato non sia diverso nei principi su cui abbiamo concordato. Se è in contraddizione lo dirò con la stessa schiettezza con cui l'ho detto martedì. Bisogna giocare a carte scoperte e non ricorrere a artifici giuridici che portino a una amnistia di fatto”.

Critica l'opposizione. Pier Luigi Bersani, segretario Pd, protesta contro chi rimprovera al suo partito di non avanzare proposte sulla giustizia e avverte: “Se le norme che il governo si appresta a presentare presupponessero di fatto la cancellazione di processi in corso ci opporremmo con assoluta determinazione chiamando a comuni iniziative tutte le opposizioni, per evitare l'ennesima lesione delle pari condizioni dei cittadini di fronte alla legge”. Anna Finocchiaro, presidente dei senatori del Pd, dice: "Il nostro problema è che i processi durano troppo, mi pare insensato fare in modo che, in sostanza, per una grande quantità di reati si abbia sempre la prescrizione, perché non si arriverà mai a concludere il processo in tempo. Sarebbe stato più saggio accorciare i tempi dei processi non per legge ma dotando l'amministrazione giudiziaria degli strumenti per essere più rapida ed efficiente, piuttosto che questa prescrizione breve mascherata". Per il leader di Idv, Antonio Di Pietro, il ddl è "incostituzionale e immorale, perché con un colpo di spugna cancella le inchieste in corso a carico di amministratori locali e politici in Lombardia, Puglia, Calabria, Lazio e Campania. È una legge che serve solo alla 'casta' e al Parlamento non al paese". Contraria anche l'Anm: "La cronica assenza di personale amministrativo rende praticamente impossibile il quotidiano disbrigo degli adempimenti", "parlare di 'processo breve' appare semplicemente offensivo per i cittadini e per gli operatori".

giovedì 5 novembre 2009

Berlusconi: ''Dal 'Giornale' ho solo problemi, dirò a mio fratello di vendere...''


Roma, 5 nov. (Adnkronos/Ign) - Dal caso Boffo in poi, mi sta creando solo problemi. Riunione dell'Ufficio di presidenza del Pdl, questa sera, a palazzo Grazioli. Silvio Berlusconi nota che Ignazio La Russa ha portato con sé una copia del 'Giornale' dove in prima pagina c'è un nuovo attacco del direttore Vittorio Feltri contro Gianfranco Fini.
Il premier, raccontano alcuni presenti alla seduta, non sarebbe piaciuto l'affondo nei confronti del presidente della Camera, prendendo le distanze dall'articolo. C'è chi assicura di aver sentito dire anche al Cavaliere che sarebbe pronto a chiedere al fratello Paolo di vendere il 'Il Giornale'.

Stamattina infatti 'Il Giornale' con un'apertura dal titolo 'Caro Fini, adesso parla chiaro' il quotidiano della famiglia Berlusconi segna una nuova tappa della polemica con il presidente della Camera.

Fini, scriveva 'Il Giornale' ''non perde l'occasione per distinguersi da Berlusconi e mettergli i bastoni tra le ruote. E' giunta l'ora che esca dall'ambiguità. L'alternativa? Un predellino 2 per liberare il partito dalla zavorra e poi elezioni anticipate''.

''Vorremmo chiedere al presidente della Camera, vista la sua ambiguità politica - insiste Feltri - se non gli sembra giunta l'ora di parlar chiaro e dire ai lettori (e agli elettori) cosa pensa della maggioranza che lo ha mandato a Montecitorio e del premier che gli ha dato la spinta decisiva''.

Il direttore de 'Il Giornale' definisce il comportamento di Fini ''incomprensibile'' e prende spunto dalle posizioni espresse dalla fondazione Farefuturo ''spesso così critiche da assomigliare più a quelle dell'opposizione che a quelle della coalizione di governo''. E non basta che Fini, ogni tanto, prenda le distanze. ''Questa -rimarca Feltri- non è una linea politica, ma un casino politico''.

''Mi rifiuto di credere che lei sia inconsapevole di giocare col fuoco'', mettendo a rischio governo e legislatura. ''Presidente, non si chiuda nella reticenza e ci spieghi quali disegni ha in mente. Un po' di franchezza aiuterebbe il Paese. Perche' avanti di questo passo -avverte Feltri- si va a elezioni anticipate''.

'Il Giornale', ricorda il direttore, ''ha ipotizzato un predellino due, cioe' un Pdl pronto a correre da solo, alleggerito dalla zavorra, e a strappare la maggioranza con il noto premio, quindi allearsi con chi ci stara', la Lega e magari l'Udc. Se cio' avvenisse, Berlusconi avrebbe facolta' di riformare quanto gli garba. E lei, Fini, a quale santo si rivolgerebbe allora, a Bersani? Mi faccia il piacere'', conclude Feltri.

Al direttore del 'Giornale' ha risposto in prima istanza 'Ffwebmagazine', il periodico online della fondazione presieduta da Gianfranco Fini definendo Vittorio Feltri ''il Comunardo Niccolai del giornalismo politico". Il direttore, continua il corsivo, è "un difensore che segna a ripetizione solo nella propria porta. Chissà se il presidente del Consiglio-editore è consapevole che un governo è come uno scudetto. Si può perdere a furia di autogol... E gli arbitri non c'entrano nulla".

Dello stesso parere il ministro della Difesa Ignazio La Russa che nel pomeriggio ha sottolineato: "Questa volta credo che il periodico on line di Farefuturo abbia proprio ragione. Quello de 'Il Giornale' su Fini è un vero autogol. Ed è giusto anche il riferimento a Comunardo Niccolai che però, lo dico a Farefuturo web, giocava in nazionale perché era il migliore stopper italiano ma passò alla storia per i troppi autogoal. Sarebbe un peccato se anche Feltri venisse ricordato non per la sua innegabile bravura ma per il fuoco amico del suo giornale. E' troppo chiedere più goal e meno autoreti?'' Lo dichiara Ignazio La Russa, ministro della Difesa e Coordinatore nazionale del Pdl.

lunedì 2 novembre 2009

Berlusconi: sì al dialogo, ma basta insulti Voto anticipato se maggioranza cambia


È Berlusconi show. Il presidente del Consiglio parla chiaro, senza mezzi termini o inutili giri di parole. Mette quindi i puntini sulle 'i' in una fase in cui intende avviare un importante processo riformatore, a partire dalla giustizia, e analizza la situazione politica del momento. Lo fa con Bruno Vespa e per il suo libro, ‘Donne di cuori’, in prossima uscita: “Nessuno più di me è predisposto al dialogo. Ma per dialogare è necessario essere in due, e soprattutto avere rispetto dell’avversario, non insultarlo e demonizzarlo come il Pd di Franceschini e di Veltroni ha fatto ogni giorno, e spesso più volte al giorno, contro la mia persona". Un dialogo con il Partito Democratico di Pierluigi Bersani, dice il capo dell’esecutivo, è dunque possibile, cosa che fu impossibile con Dario Franceschini. "Se Bersani deciderà di cambiare registro e di concorrere alle riforme importanti per il futuro dell’Italia - chiarisce il premier - il più contento sarò io". E a Vespa che gli chiede se può essere la giustizia il primo banco di prova, Berlusconi risponde: "Magari!..."

Ciò che il Cavaliere ha sempre mal sopportato è stato il tono delle parole pronunciate dai suoi avversari, il più delle volte eccessivamente sopra le righe e volte all’insulto: “Chi insulta il presidente del Consiglio insulta il voto di milioni di italiani”, affonda Silvio Berlusconi, il quale non ritiene di dover rinunciare alle azioni legali contro i quotidiani 'La Repubblica’ e 'L'Unita’.

Avanti con le azioni legali - “Ho il dovere di tutelare non la mia persona, ma l'istituzione che rappresento e che mi è stata assegnata dal voto di milioni di italiani. Insultando me - sottolinea - si insultano tutti loro, si insulta il loro voto, la loro volontà, la loro dignità”. “E non ho sporto querela - spiega il premier -. Mi sono rivolto, in modo direi quasi disarmato, ai giudici civili destinando da subito l'eventuale risarcimento del danno all'Istituto San Raffaele di Milano”.

Ma le parole del premier non trovano l’approvazione della capogruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro: "Fa un po' sorridere leggere che nessuno più di Berlusconi 'è predisposto al dialogo'. Mi sembra che in questi mesi siano venute proprio dal governo e dalla maggioranza forzature, continue ricorsi ai voti di fiducia,
norme anticostituzionali come il lodo Alfano. Forse il registro devono cambiarlo maggioranza e governo. E in ogni caso le tanto sbandierate riforme si fanno in Parlamento. Quella è la sede del confronto".

Ipotesi elezioni anticipate - Una crisi o un governo del presidente? Berlusconi lo esclude categoricamente. Come del resto esclude che l’ipotesi possa trovare il consenso del presidente della Camera Gianfranco Fini o del leader della Lega Nord Umberto Bossi: “Lo escludo nel modo più assoluto. Se mai dovesse verificarsi un cambiamento di maggioranza, ma è un'ipotesi che non esiste, ci tengo a dirlo chiaro, sarebbe inevitabile il ricorso ad elezioni anticipate”.

Rapporti con la coalizione - Parlando con Vespa, Berlusconi fa il punto sui rapporti all'interno della coalizione di governo e nel Pdl, soffermandosi anche sulla definizione delle candidature per le prossime elezioni regionali. Il presidente del Pdl puntualizza che l'attribuzione alla Lega di due Regioni del Nord rappresenta una questione che "è oggi ancora sul tavolo". E se questo dovesse accadere, Berlusconi esclude che ciò possa causare un ridimensionamento nazionale del Pdl. "L'alleanza con la Lega - assicura - è davvero solida. Non c'è nessun problema nell'individuazione dei candidati alle elezioni regionali anche perché presenteremo in ogni regione del Nord un ticket che indicherà un presidente del Pdl e un vice della Lega e viceversa. Nessun pericolo di sganciamento leghista, dunque. Tra me e Umberto Bossi c'è un patto ormai consolidato fondato anche sull'amicizia e sull'affetto". A Vespa che gli chiede che se sono giustificati i rimproveri di quanti lamentano troppe concessioni al Carroccio, il presidente del Consiglio risponde: "Con Umberto Bossi ho sempre trovato accordi ragionevoli. Con la Lega, ripeto, non ci sono e non ci saranno elementi di contrasto".
Quanto ai rapporti con il presidente della Camera, Gianfranco Fini, Berlusconi conferma "i rapporti di sempre. Fini si è dimostrato un alleato leale e un
politico lungimirante. A lui mi lega un solido rapporto di amicizia e di stima. Anche con i parlamentari che vengono da An il rapporto è ottimo. È naturale che la direzione del Pdl e l'Ufficio di Presidenza discutano di proposte nuove
non incluse nel nostro programma elettorale, come per esempio quella di concedere in anticipo la cittadinanza agli immigrati. Si discute, si vota e la decisione della maggioranza vincola la minoranza". E sui temi etici, aggiunge, "il partito assume certo una sua posizione, ma riconoscendo ai singoli parlamentari una piena libertà di coscienza e di voto".
L'Udc deve stare nel centrodestra - Quanto all’Udc, e alla strategia di Pierferdinando Casini per le prossime elezioni regionali, Berlusconi osserva: "L'Udc è con noi nel Partito del Popolo Europeo, che è la grande famiglia della libertà e della democrazia in Europa. Negli altri paesi dell'Unione i partiti popolari non si alleano con la sinistra, non sono disponibili ad allearsi con una parte o con l'altra. Questo non è casuale. È la conseguenza del fatto che i nostri valori, i nostri programmi, la nostra economia sociale di mercato, sono concezioni alternative a quelle della sinistra. Dunque la collocazione strategica dell'UdC non può che essere nel centro destra, e noi attendiamo fiduciosi che questo avvenga".

giovedì 29 ottobre 2009

Caprara: «È nascosto a Mosca il registro segreto dei magistrati del Pci»

Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti, rivela nel corso di un processo: l’elenco delle toghe affiliate veniva regolarmente trasmesso in Urss

Il Pci aveva un registro segreto dei magistrati iscritti al partito. Questo elenco, riservatissimo, è oggi a Mosca. La rivelazione arriva da una fonte autorevolissima: Massimo Caprara, segretario del leader comunista Palmiro Togliatti e membro del Comitato centrale del partito dal ’43 al ’69. Nei giorni scorsi Caprara ha raccontato quel che sapeva a Trento in un processo per diffamazione nei confronti di Giancarlo Lehner, giornalista e saggista, querelato dagli eredi di Generoso Petrella, uno dei giudici, secondo Caprara, clandestinamente affiliati al Pci.

«I magistrati - spiega in aula Caprara - potevano certo iscriversi al Pci, ma questo non era noto a nessuno. Non comparivano assolutamente. Non solo perché loro non lo volevano, ma anche perché non era opportuno da parte del Partito Comunista». Il metodo di avvicinamento era però semplice: «Ci si iscriveva nelle sezioni, il segretario di sezione faceva nota di persona o per lettera» a chi di dovere. Ovvero ad Edoardo D’Onofrio, uno dei massimi dirigenti del partito e di quel livello occulto del Pci chiamato «lavoro riservato». «L’iscrizione era controllata dall’Ufficio quadri del Pci, cioè dall’onorevole D’Onofrio. E il Partito Comunista, quindi, delegava D’Onofrio a controllare quelle liste che si chiamavano fiches blindate, perché erano note soltanto a lui e soprattutto più di lui le conosceva l’onorevole Pietro Secchia, vicesegretario del partito».

Insomma, il Pci aveva una sua colonna nella magistratura: le tanto evocate toghe rosse. Ma l’appartenenza non doveva essere divulgata, evidentemente poteva essere gestita ad altissimo livello. «Io - mette le mani avanti Caprara - quel registro non l’ho mai visto di persona, ma lavorando nelle segreteria di Togliatti ne ero venuto a conoscenza. Il registro non annoverava solo magistrati, ma anche militari e scienziati. Tra questi ultimi, anche Bruno Pontecorvo, poi trasferitosi in Urss». In questo modo il Pci conosceva le forze di cui disponeva nella società e poteva in qualche modo costruire uno Stato nello Stato. «Per conoscere se un magistrato fosse o no iscritto al Pci, bisognerebbe consultare quel registro. Io non avevo bisogno di vederlo, perché i magistrati importanti li conoscevo direttamente. Ricordo in particolare due grandi magistrati che sono stati importanti anche per il dopo Togliatti: erano evidentemente iscritti al Pci in modo non pubblico», anche se Caprara non ha fra le mani prove documentali. I loro nomi? «Uno era il Procuratore generale di Genova Carmelo Spagnolo. E a Roma, Roberto Peretti Griva, in Cassazione. Furono grandi frequentatori del Ministero della giustizia e quindi anche grandi sostenitori del Pci».

Dopo Secchia e D’Onofrio, una terza persona di spicco del Pci si occupò dei giudici, ma questa volta il segretario di Togliatti non fa nomi, pur tracciando un identikit molto dettagliato: «È stato l’uomo che ha fatto fucilare Mussolini ed ha sottratto a lui e ai suoi addetti a Como il famoso oro di Dongo». Chi ha in mente Caprara? Lui nega ogni riferimento a Walter Audisio e Aldo Lampredi, protagonisti ufficiali della morte del Duce. Il grande registro, secondo Caprara, non c’è più. Almeno in Italia. Però quei nomi venivano annotati e trasmessi a Mosca. «Quello che esiste oggi - è la conclusione - esiste solo a Mosca. Sarebbe consultabile solo se lo volesse Putin».

venerdì 23 ottobre 2009

Ecco il Cavaliere che ti aspetti

Silvio Berlusconi ancora una volta ha dimostrato di essere più politico di tanti politici. L’uomo che ama presentarsi come un praticante del Palazzo, in realtà ieri ha colto al volo i segnali che gli arrivavano da più parti e segnatamente da Libero. Da giorni infatti il nostro giornale, prima con gli articoli di Mario Sechi e poi con un mio editoriale, segnalava il malcontento di una parte importante del ceto (...)
(...) produttivo per il mancato taglio delle tasse. Da giorni sostenevamo la necessità di ripensare la politica di rigore fin qui tenuta dall’esecutivo, mettendo in cantiere misure che potessero sostenere la ripresa economica e soprattutto ridare fiducia al popolo delle partite Iva e alle famiglie. La nostra non era una critica all’operato del ministro Tremonti, che ha lavorato bene e al quale va dato atto di aver saputo reggere il timone in un grave momento di burrasca finanziaria internazionale, ma uno sprone per trovare una via che consentisse di aiutare i molti soggetti economici i quali oggi si trovano in difficoltà.
Facendo il semplice lavoro di cronisti ci siamo infatti resi conto che la crisi è tutt’altro che dietro le spalle come con un po’ di entusiasmo alcuni sostengono. Basta verificare il numero di aziende costrette a portare i libri in tribunale e controllare gli andamenti delle vendite dei grandi supermercati (i quali registrano un calo di acquisto delle carni rosse a favore di quelle più economiche, come il pollo) per capire che la recessione morde ancora. Una responsabilità rilevante in quel che accade ce l’hanno certamente le banche, che continuano a tener stretti i cordoni della borsa e penalizzano soprattutto le piccole aziende e le attività commerciali. Bene dunque ha fatto Tremonti a pressare gli istituti di credito, ma purtroppo ad oggi non molto è cambiato e siccome non si può costringere i banchieri a prestare il denaro per legge - pena la nostra trasformazione in uno Stato socialista - non resta che la via della leva fiscale.
Il governo conta di incassare molto dalla lotta agli evasori e ancor di più confida di poter avere grazie allo scudo fiscale. Invece di usare le risorse così ottenute per ridurre il debito pubblico è il momento di riconoscere che soggetti economici come le piccole imprese e le famiglie hanno una priorità. Non si tratta di aiutare la grande industria, che in questo Paese ha già tanto avuto, ma gli artigiani e le aziendine, ovvero quel complesso sistema che per anni abbiamo celebrato ma mai sostenuto.
Berlusconi, come dicevo, ha capito che il suo governo non può tradire le promesse formulate negli anni scorsi e ancor meno può approfittare della pazienza della base che lo ha portato per ben tre volte al successo. È per questo che ieri ha deciso di annunciare la riduzione dell’Irap, scartata in un primo momento, e interventi sulle imposte che gravano sulle persone fisiche.
Lode dunque all’intuito politico del premier. Ci permettiamo solo un piccolo suggerimento. Giacché abbiamo esperienza di quanto poi sia difficile tradurre in pratica le buone intenzioni, gli consigliamo di non lasciar trascorrere troppo tempo dall’annuncio all’applicazione. C’è bisogno che il provvedimento non venga diluito nel tempo, ma sia rapido e tangibile. Solo così la scossa potrà stimolare l’economia. E, sia detto con realismo, anche il consenso. Per farlo non basta solo il fiuto del neofita, serve anche il coraggio di chi possiede carisma.

domenica 18 ottobre 2009

LE BR VOGLIONO FARE TRIS

Ci mancavano pure le Brigate rosse. Non bastavano gli insulti quotidiani a Berlusconi, ci si mette pure il partito armato che vuol fare tris minacciando anche Bossi e Fini. Non so se il volantino recapitato al Riformista sia opera di terroristi o mitomani: non sono un esperto nel decrittare documenti con la stella a cinque punte, non mi avventuro in ipotesi. So solo che al pari di Giampaolo Pansa, il quale lo ha già scritto su queste pagine, questo clima che avvelena la politica non mi piace. Mi preoccupa l’odio straripante da certi ambienti che, a differenza di quanto dicono, non fanno nulla per contenerlo. In particolare mi ha colpito un giovane dirigente del Pd, che pochi giorni fa su Facebook (...)
(...) ha pubblicato un messaggio per cercare qualcuno che piantasse un colpo in testa al Cavaliere. Anzi: più di lui mi è parsa sorprendente la reazione di uno dei candidati alla segreteria del Partito democratico, quel Pierluigi Bersani che molti giudicano un tipo ragionevole. Durante la scorsa puntata di Annozero, richiesto di un commento sul caso, l’uomo di punta della sinistra ha liquidato il fatto come una ragazzata. «È di Vignola» ha detto, lasciando intendere che non c’è da dare eccessivo peso a chi proviene dal paese delle ciliegie. La tendenza a minimizzare, liquidando tutto come una banalità, mi ha riportato alla memoria l’atteggiamento dei dirigenti comunisti negli anni Settanta, di fronte all’incrudelirsi della lotta politica. Anche allora, e per lungo tempo, il Pci non volle capire e soprattutto non volle intervenire per fermare i giovani compagni che, fuoriusciti dalla Fgci, avrebbero poi dato vita ai comunisti combattenti. Franceschini, Paroli, Gallinari sono nomi che dovrebbero far riflettere, perché dalle parole passarono alle armi.
Ora non vorrei che la storia si ripetesse. Rivedo lo stesso clima di scontro, lo stesso odio per l’avversario. Nel mirino non c’è solo il presidente del consiglio, ma tutto ciò che gli ruota intorno: i suoi alleati e collaboratori. Non sono esenti i giornalisti, che hanno il solo torto di non armare la penna contro il premier come una certa sinistra vorrebbe. Posso dare testimonianza diretta: mi è capitato più volte d’essere aggredito a sangue freddo per strada, con insulti e minacce, senza alcun rispetto non per me, che ho spalle larghe per sopportare le infamie, ma per chi stava con me, in qualche caso bambini. In un’arena televisiva come quella di Santoro, per avere espresso le mie opinioni, in una pausa pubblicitaria sono stato oggetto di urla e offese. Immagino che per molti di noi tra poco compariranno le liste di proscrizione sui muri, come capitava negli anni Settanta. E temo di sapere come poi tutto ciò andrà a finire. Se qualcuno ha dubbi basta che apra certi siti, dove insieme a affettuosità tipo «servo» e «leccaculo» c’è anche chi augura la morte, e non per malattia, al cronista che non si piega ai suoi voleri.
Di fronte a un simile imbarbarimento viene da chiedersi cosa fanno i dirigenti del Pd e i loro intellettuali di riferimento. Dopo aver caricato i toni, urlato al regime e denunciato pericoli per la libertà, si comporteranno come nel passato, disconoscendo le origini della violenza da loro stessi generata? Fingeranno anche stavolta, come allora, di non avere responsabilità? Probabilmente se ne laveranno le mani. Ma sono certo che nulla potrà alla fine lavare le loro coscienze.

mercoledì 14 ottobre 2009

Class Action pubblica, il decreto domani in Cdm


Arriva la class action pubblica. Il decreto legislativo che da' attuazione alle norme previste dalla cosiddetta riforma Brunetta sulla pubblica amministrazione, sara' portato domani in Consiglio dei ministri dove e' previsto un esame preliminare del testo.
"Al fine di ripristinare - si legge nella bozza del decreto legislativo - il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralita' di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalita' stabilite dal presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche". Sono fatte salve le Autorithy, la presidenza del Consiglio e gli organi costituzionali. Le misure entreranno in vigore a partire dal primo gennaio 2010 (con alcune eccezioni), ma in ogni caso "il ricorso - si legge nel testo - non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato".

Ponte sullo Stretto, Berlusconi: ''Entro l'anno al via i lavori''

Berlusconi: "Lavori da dicembre". E' polemica

ROMA - "A dicembre e gennaio cominceremo un'altra infrastruttura, che è il ponte sullo stretto". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel corso del suo intervento al convegno a Villa Madama, alla conferenza di presentazione dei piani di sviluppo di Malpensa e Fiumicino.
"Il governo ha ancora davanti a se un lungo tratto per essere operativo", ha aggiunto il premier . "Il nostro Paese si deve svegliare da un lungo sonno che lo ha portato anche ad avere condizioni di bilanci negative". L'Italia, aveva detto precedentemente il presidente del Consiglio, ha un "gap infrastrutturale, della logistica della mobilità" che rappresenta una vera propria "strettoia" che ha finora "impedito di sfruttare a pieno le ricchezze" del nostro Paese che potrebbero attirare ancora più turisti e investitori. Un gap, ha concluso, che noi dobbiamo "superare".Ed e' polemica dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Francantonio Genovese, segretario regionale del Pd in Sicilia, respinge l'idea della ripresa dei lavori per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, sostenendo che "la Sicilia, e il Sud hanno altre priorità". "Parlare poi della costruzione del ponte di Messina all'indomani di una tragedia ambientale con trenta morti e centinaia di sfollati è, tra l'altro, offensivo", secondo il pensiero di Genovese, perché "il nostro territorio ha bisogno di risorse per ripristinare i danni dell'abusivismo e per costruire infrastrutture veramente indispensabili". E le priorità, per Genovese, sono "strade e ferrovie che garantiscano la crescita delle nostre terre, non progetti faraonici, di dubbia attuazione, vere e proprie cattedrali nel deserto utili solo alla celebrazione di un governo del fare che in realtà sa fare solo annunci". "Berlusconi vuole sperperare i soldi dei cittadini italiani mentre la vera priorità dell'Italia e del Sud, come ha dimostrato la recente tragedia di Messina sono le infrastrutture da sempre inesistenti, come la messa in sicurezza del territorio e la lotta al dissesto, le ferrovie e gli acquedotti". Lo ha dichiarato il presidente dei Verdi Angelo Bonelli.
"Sta per partire un'opera faraonica contro il buon senso, assolutamente non prioritaria per il Sud che in realtà ha bisogno di ben altre infrastrutture". Il presidente dell' Idv al Senato, Felice Belisario critica l'annuncio di Berlusconi e chiede che le risorse destinate al Ponte siano indirizzate "al risanamento e alla messa in sicurezza del territorio al fine di evitare un'altra sciagura" come quella avvenuta il 2 ottobre a Messina, sostenendo che "il resto è solamente mera propaganda. "Si tratta - sostiene Belisario - di una vera e propria cattedrale nel deserto che collegherà il nulla con il nulla se il Governo non provvederà subito a varare misure volte a potenziare tutte le infrastrutture che interessano lo Stretto, a partire dalla rete ferroviaria e da quella stradale. Tra l'altro, in una zona ad alto rischio idrogeologico, già devastata dal terremoto e dalla recente alluvione, è quanto meno poco prudente realizzare un'opera così imponente".
CANTIERE PRINCIPALE ENTRO 2010 - Per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina "entro il 2010 parte il cantiere principale". Lo ha detto Pietro Ciucci, amministratore delegato della società Stretto di Messina e commissario per la realizzazione dell'opera, a margine della presentazione dei piani di sviluppo di Adr e Sea per la quale il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha parlato anche del progetto del ponte. Prima dell'apertura del cantiere principale partono altri "lavori propedeutici" ha detto Ciucci, spiegando per esempio che verrà spostata la linea ferroviaria a Villa San Giovanni. "Lavori di intesa con Ferrovie che verranno fatti da Stretto di Messina". Ad oggi, ha detto Ciucci, "siamo entrati nella fase finale della progettazione esecutiva: l'obiettivo è impegnativo ma ci siamo impegnati. Per questa prima fase ci sono circa 30 milioni di euro disponibili, e sono previste altre opere a terra anche in Sicilia". Dei sei miliardi di investimento, "un terzo riguarda opere a terra che si possono anticipare".

lunedì 12 ottobre 2009

La Carfagna dice basta al burqa nelle scuole


La condizione delle donne immigrate in Italia preoccupa e allarma a causa di tradizioni, culture e modi di trattare le donne che spesso sono incompatibili con l’Italia, il ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna che ha proposto di vietare burqa e niqab, ossia i due tipi di velo usati dalle donne islamiche, nelle scuole. La Carfagna è decisa a discutere la sua proposta con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni e dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. “Sono assolutamente favorevole – ha affermato Carfagna a margine della presentazione dei dati del numero verde 'mai più sola’ contro la violenza alle donne immigrate – ad una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo ad una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione”. “Di questo – ha annunciato Carfagna – parlerò anche con i colleghi Roberto Maroni e Mariastella Gelmini. Perchè, per esempio, vietare burqa e niqab nelle scuole, luogo primario di integrazione ed emancipazione, può essere un segnale importante”.

domenica 11 ottobre 2009

Giustizia, Berlusconi: ''Separare le carriere. In Francia e Inghilterra magistrati sono sotto al governo''


Benevento, 11 ott. (Adnkronos) - "Non credo che si possa consentire di rivolgere infamie, improperi, insulti e volgarità" di fronte "ad un premier eletto direttamente dal popolo, bisogna cambiare questa situazione".

A sottolinearlo è il premier Silvio Berlusconi (nella foto) nel suo intervento alla Festa della Libertà di Benevento alla luce delle polemiche di questi giorni sul Lodo Mondadori e quello Alfano. Il Cavaliere cita gli ultimi sondaggi in suo possesso: "Nei miei confronti c'è il 68% dei consensi".
Dal palco del Palatedeschi di Benevento, il Cavaliere punta il dito soprattutto sulla stampa estera, che con le sue "accuse assurde" contro il premier danneggia l'immagine del paese. "Da qualche mese a questa parte", dice, ci sono "alcune assurde e ridicole accuse e critiche che fanno male e danneggiano l'immagine del paese. Anzi se mi consentite il termine, si tratta di accuse che sputtanano il presidente del Consiglio, il paese e la nostra democrazia".
Poi, tornando a parlare del Lodo Alfano dopo la bocciatura da parte della Consulta, il premier sottolinea: "Non ho mai detto una parola fuori luogo su questa vicenda". "In moltissime democrazie - ricorda il presidente del Consiglio - non c'è bisogno di questa norma perché in Francia e in Inghilterra i pm non sono autonomi e indipendenti nel più alto arbitrio ma sono sottoposti al ministero della Giustizia e all'esecutivo".
"Quando il presidente del Consiglio si rivolge alla magistratura perché gli hanno dato del 'buffone' - spiega Berlusconi - la magistratura dice che è stata una goliardata. Anche per questo occorre chiarire i rapporti tra giudici e istituzioni"
E sulla Corte Costituzionale aggiunge: "Non si puo' continuare così. Abbiamo una Corte Costituzionale che ha tenuto un comportamento assolutamente sleale verso il Parlamento. Non si può andare avanti con una Consulta come questa con 11 giudici di sinistra. Non è un organo di garanzia ma un organo politico". Il premier invita quindi a cambiare l'attuale situazione e a "evitare che si replichino" cose del genere.
E ancora sulla giustizia, conferma: "Abbiamo allo studio, ma è pronta, la riforma del processo penale con la separazione dei pm dai giudici. Si tratta di una riforma fondamentale". Ribadendo che le intercettazioni vanno bene solo per reati gravi, spiega: "Abbiamo una modifica che è già stata presentata in Parlamento e riguarda le intercettazioni telefoniche che sono una patologia solo italiana".
Il capo del governo ricorda quanto accaduto nel '94, quando cadde il suo primo governo in seguito a un avviso di garanzia al premier. "Stanno cercando di fare ora la stessa cosa - dice - Ma state sereni su questo: non accadrà, non c'e' nessun dubbio. Vi do la più ampia garanzia che porteremo a termine il mandato che ci è stato affidato dagli italiani".
"Venendo qui e leggendo i giornali - ha proseguito il presidente del Consiglio - mi sono chiesto cosa davvero sia cambiato dal '93 quando l'intervento della magistratura fece fuori tutti i partiti e tutti i protagonisti di quei partiti furono costretti a lasciare la politica e qualcuno anche l'Italia. Mi sono risposto che oggi di diverso c'è il fatto che abbiamo il consenso del 68% degli italiani e che c'è il Popolo della libertà. Insomma, di diverso ci siamo noi".
''Ci troviamo di fronte ad una opposizione che non si sa più cosa sia. Il Partito democratico? Sono ancora i vecchi comunisti di sempre!", taglia corto il Cavaliere mentre a Roma si sta svolgendo la convenzione del Partito democratico. "Non hanno nei propri valori quello della democrazia. Non credono nella democrazia", rincara la dose il premier, ''pensano che il popolo sia un bue narcotizzato dalle tv e che il governo debba essere portato avanti da elite".
Quindi il Cavaliere annuncia un piano per realizzare carceri con 20 mila nuovi posti. "Mercoledì, insieme al ministro Alfano prepareremo un piano contro il sovraffollamento delle carceri che consentirà di avere 20 mila nuovi posti".
"Siamo consapevoli che se vogliamo sviluppare il paese dobbiamo sviluppare il nostro Sud", sottolinea poi il premier, precisando che il piano per il Mezzogiorno messo a punto dal governo non è ancora pronto. "Abbiamo allo studio un piano decennale - spiega - che si baserà su quattro pilastri, a partire dalla lotta alla criminalità organizzata. Non siamo pronti e quindi e non possiamo ancora presentarlo. C'è stata una lunga discussione nell'ultimo Cdm e continuano gli incontri".
"Stiamo lavorando, abbiamo fatto molte cose positive...", dice ancora il capo del governo chiudendo la prima Festa della libertà al palasport di Benevento. Il premier rivendica i risultati ottenuti fino ad ora dal suo governo: dall'emergenza rifiuti a Napoli al terremoto in Abruzzo alla politica estera e a quella contro gli immigrati clandestini.
Dalla platea una donna comincia a gridare invitando il governo ad andare via. Il premier replica dal palco: "Non seguiamo il cattivo esempio di chi grida 'fuori il governo da Palazzo Chigi'. Non rispondiamo, siamo comprensivi perchè siamo dei liberali!".
"Io santo subito? no aspettiamo...", scherza poi Berlusconi replicando a qualcuno che dalla platea dell'assise sannita del Pdl grida: 'Santo subito!'.

venerdì 9 ottobre 2009

La Corte Costituzionale ha allontanato ancora di più cittadini e istituzioni

La sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano è una sentenza storica: non tanto per i contenuti giuridici, quanto per le conseguenze nella società civile prima ancora che in quella politica. È una sentenza destinata ad accrescere il divario fra i cittadini e le istituzioni, fra il paese reale e il paese legale, tra l’uomo della strada e il cortigiano di palazzo. La maggiore conseguenza di questa strabiliante sentenza sarà proprio questa: l’aumento della sfiducia degli italiani nei confronti della magistratura, in primo luogo, e di gran parte delle istituzioni, in secondo luogo.
La fiducia nella magistratura, secondo i dati Eurispes, ha subito negli ultimi anni un forte calo di consensi, tanto che oggi oltre la metà degli italiani (il 53,7%) dichiara di non fidarsi affatto della magistratura. Nel 2004 (l’anno, lo ricordiamo per inciso, del giudizio della Corte Costituzionale sul Lodo Schifani) il 52,4% degli italiani, una cifra superiore quindi alla maggioranza assoluta, dichiarava di avere fiducia nella magistratura, mentre oggi sono il 44, 4 % degli italiani è dello stesso avviso.
Con la sentenza di ieri la Corte Costituzionale ha smentito se stessa. Nel 2004, infatti, essa dichiarò esplicitamente che la tutela delle più alte cariche dello Stato nello svolgimento delle loro funzioni era da considerarsi un «interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto». Con tale espressione, a ben vedere, si sottintendeva il richiamo ai principi della separazione dei poteri e della stabilità ed efficienza degli organi costituzionali lasciando intendere che norme come quelle di tutela di fronte a conflitti fra poteri diversi (ché di questo, nella sostanza, si tratta nel caso di azioni giudiziarie contro le alte cariche dello Stato) fossero norme attuative e quindi adottabili con legge ordinaria. La Corte Costituzionale, quindi, non contestò l’uso dello strumento della legge ordinaria rispetto alla legge costituzionale, che pure era stato un problema sollevato dall’ordinanza di rinvio del Tribunale di Milano, ma si limitò a fornire indicazioni precise per rimuovere, con l’intervento legislativo, taluni individuati limiti di illegittimità costituzionale: indicazioni tutte accolte nella stesura del Lodo Alfano.
Adesso la Corte Costituzionale è tornata sui suoi passi, rigettando il testo della legge riscritto secondo le sue stesse indicazioni e, proprio per ciò, avallato dal Capo dello Stato. Evidentemente qualche cosa è cambiato. È cambiata parzialmente la composizione della Corte e quindi sono cambiati gli equilibri politici interni di questo organo dello Stato chiamato istituzionalmente, fra l’altro, a sindacare la conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione e a risolvere i conflitti fra i poteri dello Stato. Ma è mai possibile che un mutamento nella composizione di questo organo possa produrre effetti di questo tipo? Che possa, in altre parole, portare alla sconfessione di se stesso?
Per il cittadino comune – ma non solo per lui – ciò è inammissibile. La Corte Costituzionale, per le stesse funzioni che è chiamata a svolgere, non è un tribunale come gli altri. Le sue decisioni costituiscono precedenti ai quali essa stessa deve uniformarsi, pena la perdita di ogni credibilità. La Corte Costituzionale dovrebbe essere il simbolo della certezza del diritto. Se essa si smentisce perde questa caratteristica. Ecco perché la decisione di ieri è grave. È, in un certo senso, il requiem per lo Stato di diritto. Ed ecco perché, come si diceva all’inizio, l’effetto più dirompente e grave della decisione non sarà tanto (o solo) di natura giuridica o politica quanto (e soprattutto) di natura sociale: l’aumento del discredito della magistratura e la crescita esponenziale del distacco dei cittadini da gran parte delle istituzioni. E, per quanto riguarda la Corte Costituzionale, si diffonderà, ahimé, sempre più, l’idea che essa non garantisca affatto lo Stato di diritto, ma sia soltanto un sinedrio di privilegiati promossi a quel posto per motivi prevalentemente politici.

Cdm, sì alla riforma Brunetta anti-fannulloni


Roma - Via libera definitivo del consiglio dei ministri alla riforma Brunetta della pubblica amministrazione. Il provvedimento prevede la lotta ai fannulloni, con taglio allo stipendio e licenziamenti, ma anche premi al merito che non saranno più distribuiti a tutti, ma andranno solo agli statali più produttivi.
La riforma La riforma, che coinvolge tutte le amministrazioni pubbliche, prevede l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera. Il decreto stabilisce che non più di un quarto dei dipendenti di ciascuna amministrazione potrà beneficiare del trattamento accessorio nella misura massima prevista dal contratto; non più della metà potrà goderne in misura ridotta al 50%; ai lavoratori meno meritevoli non sarà corrisposto alcun incentivo.
Come nel privato Il decreto si propone di dare inizio a un processo di convergenza con il settore privato. Infatti il testo prevede che il dirigente sia il responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità del prodotto delle pubbliche amministrazioni. Viene stabilito anche il principio della inderogabilità della legge da parte della contrattazione. Viene rafforzata l’Aran, agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Vengono infine fissate nuove procedure per l’accesso alla dirigenza. Nel decreto infatti si stabilisce che l’accesso alla qualifica di prima fascia nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non economici avviene per concorso pubblico per titoli ed esami, indetto dalle singole amministrazioni per il 50% dei posti disponibili annualmente.
Certificati medici falsi Sanzioni anche di carattere penale sono previste in caso di falsi certificati medici, nei confronti del dipendente per il quale scatta il licenziamento con l’obbligo del risarcimento del danno, ma anche del medico eventualmente corresponsabile, che sarà radiato dall’albo e licenziato.
Licenziamento Tra le fattispecie individuate per il licenziamento ci sono il ripetersi di assenze ingiustificate, il rifiuto senza motivi del trasferimento, la presentazione di documenti falsi per l’assunzione o per essere promossi. Ma anche: comportamenti aggressivi e molesti e condanna per reati contro la pubblica amministrazione e il prolungato rendimento insufficiente.
Dirigenti più responsabili A loro il compito di valutare la performance di ciascun dipendente. Saranno sanzionati se non svolgeranno efficacemente il proprio lavoro. Per i nuovi dirigenti previsti sei mesi di formazione all’estero. Previste anche nuove procedure di accesso alla dirigenza per concorso per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni.
Mobilità anche obbligatoria Se necessario i dipendenti dovranno spostarsi dove è più necessario anche se non sono d’accordo.
Pagella ai dipendenti Nasce un’Autorità per rafforzare la valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni. Ogni anno la commissione predisporrà una graduatoria di performance delle singole amministrazioni in base a cui la contrattazione ripartirà le risorse.

Lodo Alfano e magistratura

Il lodo Alfano non era anticostituzionale perché chiedeva solo una sospensione dei processi, nessuna immunità, e rispettava le indicazioni che la precedente corte costituzionale aveva dato al momento della bocciatura dell'allora lodo Schifani. Un giudice che fece parte di quella corte ha dichiarato che "la corte costituzionale, con questa sentenza, ha contraddetto sè stessa".In questo caso specifico i giudici di nomina presidenziale (5 in tutto) erano tutti appartenenti a correnti di sinistra e difatti hanno bocciato il lodo.Anche anche uno dei giudici che già fece parte della corte che bocciò il lodo schifani, dando poi delle direttive per la sua correzzione e comunque dichiarando che era sufficiente una legge ordinaria, questa volta, evidentemente sotto la pressione della sinistra, ha dichiarato la legge anticostituzionale.A mio parere, le persone che hanno esultato per questa bocciatura, hanno ben poco da esultare. Per l'ennesima volta si è dimostrata la faziosità di certa magistratura italiana, persino nel caso della corte.Oggi è stato colpito Silvio Berlusconi, la persona più odiata da quella parte di italiani che non vuole cambiare il paese e cammina con i paraocchi, ma il fatto è grave e pericoloso.Il Governo ha scelto di non scendere in piazza e io mi auguro che non serva.Noi non siamo come quelli che scendono a manifestare con ogni scusa, quelli che vivono contestando e criticando.Noi preferiamo lavorare, studiare e mandare avanti il paese. Se scendiamo in piazza significa che la questione è grave, quindi se non è necessario, meglio.L'importante è che Di Pietro e compagnia non dimentichino che siamo sempre pronti a difendere il nostro voto e le nostre idee e, se non se ne fosse accorto, che siamo molti più di loro!

(Di Antonio Agus)

mercoledì 7 ottobre 2009

Alcune riflessioni sulla decisione della corte

La bocciatura del lodo Alfano pongono alcune riflessioni che voglio fare;
per prima cosa la sentenza della consulta rispetto alla precedente decisione della corte sembra smentire se stessa; infatti nella precedente decisione infatti l'alta corte non aveva accennato al fatto che questa legge dovesse essere costituzionale e non ordinaria,cosa che ha fatto oggi con questa sentenza.

A me sembra che questa decisione sia piu' politica che tecnica e ritengo quindi che questa corte non sia piu' costituzionale perché smentendo la sua giurisprudenza ha emesso una decisione politica.

E' chiaro che Il governo che ha preso i voti degli elettori deve continuare a fare il suo lavoro: occuparsi dei problemi degli italiani e continuare a governare a fare tutte le riforme compresa la riforma della giustizia ma cosi' necessaria; la cosa piu' fastidiosa e' che ora il premier oltre ad affrontare i molti problemi che il paese ha dovra' anche dediarsi a dei processi di cui si poteva occupare tranquillamente alla fine del suo mandato.
Confido nel fatto che essendo Berlusconi capace di gestire molte cose sara' in grado di fare ache questo ed e' compito di tutti noi che lo soteniamo,di far sentire al presidente tutto il nostro appoggio.

Quindi concludo dicendo Forza Silvio siamo tutti con te!!!!

La Corte costituzionale, i giudici e le competenze


Roma (Ign) - Sono quindici e nominati per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative


Roma, 6 ott. (Ign) - La Corte costituzionale è un Organo costituzionale previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948. Le norme sul suo funzionamento sono contenute nella Costituzione, nella legge costituzionale n. 1 del 1948 e nella legge n. 87 del 1953, nonché in altre norme integrative e nel regolamento generale di cui la stessa Corte è dotata.


Come recita l'art. 135 comma 1 della Costituzione, la Consulta ècomposta di quindici giudici nominati per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. E'
Seduti a una tavola rotonda, secondo l'art. 134 della Costituzione, i giudici sono chiamati a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra Regioni; sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica, a norma della Costituzione e sul giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo. Inoltre spetta alla Corte giudicare l'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
In questo momento è composta dal presidente Francesco Amirante, 76 anni, eletto dalla Corte di Cassazione nel novembre 2001. Alla sua sinistra siede il vicepresidente Ugo de Siervo, 67 anni, eletto dal Parlamento nell’aprile 2002. Continuando in senso orario, troviamo Paolo Maddalena, 73 anni, eletto dalla Corte dei Conti nel luglio 2002. Accanto a lui siede Alfio Finocchiaro, 74 anni, è stato eletto dalla Corte di Cassazione nel novembre 2002. Alfonso Quaranta, 73 anni, è stato eletto nel dicembre 2003 dal Consiglio di Stato. Franco Gallo, 72 anni, è stato nominato dal presidente della Repubblica nel settembre 2004 ed è seduto vicino a Luigi Mazzella, 77 anni, eletto dal Parlamento nel giugno 2005. Gaetano Silvestri ha 65 anni ed è stato eletto dal Parlamento nel giugno 2005. Accanto a lui siede Sabino Cassese, 74 anni, nominato dal capo di Stato a novembre del 2005. Anche Maria Rita Saulle, 74 anni, unica donna, è stata nominata dal presidente della Repubblica nel novembre 2005. Accanto a lei c’è Giuseppe Tesauro, 67 anni, nominato dal capo di Stato nel novembre 2005. Paolo Mario Napolitano, 65 anni, è stato eletto dal Parlamento nel luglio 2006. Giuseppe Frigo, eletto dal Parlamento a ottobre 2008, ha 74 anni. Paolo Grossi, 76 anni, è stato nominato dal presidente della Repubblica a febbraio di quest’anno. Infine, alla destra del presidente Amirante siede Alessandro Criscuolo, eletto dalla Corte di Cassazione a ottobre 2008: ha 72 anni.
Il Palazzo della Consulta, situato a Roma, in Piazza del Quirinale, è la sede della Corte. La sua collocazione esprime bene, simbolicamente, la posizione di questo Organo: sul colle “più alto” di Roma, faccia a faccia con il Palazzo del Quirinale, sede del presidente della Repubblica, massima istituzione rappresentativa, e a sua volta titolare prevalentemente - come la Corte - di compiti di garanzia; relativamente lontano, invece, dai palazzi della Roma “politica” (Montecitorio e Palazzo Madama, sedi delle due Camere; Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, cioè del vertice del Governo; i vari ministeri) e della Roma “giudiziaria” (il “Palazzaccio”, sede della Corte di cassazione, cioè del vertice della magistratura).
La Corte infatti dialoga con la politica, ma non è essa stessa una istituzione “politica” in senso stretto. Non ha il compito di rappresentare i cittadini realizzando gli indirizzi e gli orientamenti da essi (o dalla loro maggioranza) prescelti, ma piuttosto quello di garantire il rispetto da parte di tutti della legge fondamentale della Repubblica, la Costituzione; proprio in relazione a questo compito e nel suo svolgimento, essa dialoga altresì con gli organi giurisdizionali, ma non è essa stessa un’istituzione giudiziaria come questi.

lunedì 5 ottobre 2009

Pa, la riforma piace a Confindustria e sindacati (non alla Cgil)


Roma, 5 ott (Velino) - Potrebbe arrivare già venerdì in Consiglio dei ministri la definitiva approvazione della riforma della Pubblica amministrazione. Lo ha annunciato il ministro della Pa e dell’innovazione Renato Brunetta al termine della consultazione con le parti sociali avvenuta oggi a Palazzo Chigi. Il decreto, ha specificato il ministro, entrerà in vigore subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale anche se ci sarà un periodo di sperimentazione “per verificare il buon funzionamento delle norme contenute nel decreto legislativo”, con rendiconti semestrali che verranno riferiti in Parlamento. Le verifiche, spiega Brunetta, “saranno incrociate, in modo tale che non solo il Parlamento ma anche le parti sociali siano informate dello stato di attuazione della riforma”. Durante la conferenza stampa Brunetta ha espresso soddisfazione per l’incontro con le parti sociali e ha sottolineato la velocità dell'iter seguito dal decreto legislativo: “Sono passati 14 mesi da quando il testo della legge delega è stato approvato per la prima volta in Consiglio dei ministri: una riforma così complessa ha quindi trovato attuazione in tempi molto rapidi”. Brunetta ha sottolineato che “il 98 per cento del testo del provvedimento è rimasto lo stesso rispetto a quello approvato dalla Conferenza unificata” dove sono state acquisite 30 modifiche, già esaminate dal Parlamento e quindi già inserite nel testo della delega.
Positive le reazioni dei sindacati, a eccezione della Cgil, allo schema di decreto legislativo. La Confsal – la Confederazione sindacale autonoma – condivide il decreto, individuandone comunque alcune “rigidità” (“con particolare riguardo alla procedura della valutazione”); la Uil sottolinea invece come si tratti di “un testo migliorato rispetto a quello inizialmente presentato” e dà il suo ok “all’applicazione del dispositivo legislativo come presentato, rafforzando la contrattazione”. La riforma del lavoro pubblico potrà trovare attuazione solo con il confronto “con i 3,5 milioni di lavoratori. E la scelta di avviare la sperimentazione di 24 mesi lo conferma”, aggiunge il segretario confederale della Cisl, Gianni Baratta. “L’obiettivo che sta a cuore della Cisl – continua il dirigente sindacale – è una riforma che vada alla ricerca di una maggiore competitività attraverso un sistema negoziale da tutti condiviso”. "Non tutto è perfetto, - ha concluso Baratta - ma il testo del decreto è cambiato molto grazie al contributo della conferenza Stato-Regione, al Governo e ai sindacati".
Apprezzamento è stato espresso anche da Confindustria, secondo cui “i principi generali e i dettagli in cui il provvedimento si articola” sono “presupposti essenziali per restituire efficienza ed efficacia alla Pubblica amministrazione”. “Riteniamo - ha dichiarato il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli - che questo sia un passaggio essenziale per rilanciare la produttività e la crescita del Paese e per migliorare i livelli retributivi dei lavoratori”. Contraria la Cgil, secondo cui il provvedimento, ha detto il coordinatore nazionale del dipartimento settori pubblici della Cgil, Michele Gentile, “non aumenterà l'efficacia del pubblico impiego e rischia anche di portare a una riduzione degli stipendi, non essendoci in Finanziaria risorse adeguate per il rinnovo contrattuale. Nell'incontro a Palazzo Chigi “abbiamo ribadito le ragioni della nostra contrarietà a un provvedimento che, per come è costruito, è probabile che non aprirà una fase di maggiore efficacia della pubblica amministrazione”. Le norme discusse oggi prevedono sospensioni dal servizio fino al licenziamento e multe per i dipendenti più indisciplinati, assenteisti e fannulloni. Ma anche sanzioni e sospensioni per i dirigenti che non hanno ben vigilato. In compenso sarà valorizzata la qualità del lavoro, con meccanismi premiali (non più a pioggia ma per fasce di merito) e incentivi di natura economica per le amministrazioni più efficienti, come ha già iniziato a fare il ministro in questi ultimi mesi.

Considerazioni sulla sentenza cir fininvest


Che la sentenza a favore della cir di Carlo Debenedetti su Fininvest sia stata una mazzata contro Berlusconi,mi sembra abbastanza ovvio; ma da questo a pretendere,in modo arrogante(come sta' facendo questa opposizione che ci ritroviamo)le dimissioni del premier mi sembra assurdo.


E' assurdo perche' e' ancora una sentenza di 1° grado che successivamente puo' essere ribaltata.


E' assurdo perche' questa opposizione sa solo attaccarsi alle sentenze dei tribunali senza avere un minimo di idea e di programma alternativo.




Il pdl ha risposto dicendo "Gli attacchi che fuoriescano dai canoni dell’opposizione democratica, dura ma rispettosa delle istituzioni, ci portano ad assicurare che, in parlamento così come nel paese, forti di un consenso chiaramente e più volte espresso dagli italiani, il centrodestra proseguirà nella politica del fare e del governare, che nessun disegno eversivo potrà sconfiggere.


la tempistica e i contenuti di una sentenza che a 20 anni dai fatti arriva con sospetta puntualità, rafforzano l’opinione di quanti, come noi, pensano che vi sia chi sta tentando, con mezzi impropri, di contrastare la volontà democratica del popolo italiano. Mentre il governo berlusconi affronta con energia e consenso largamente maggioritario la realizzazione degli impegni assunti con gli elettori e ogni emergenza, si tenta, vanamente, di delegittimarne l’azione - hanno continuato i vertici del Pdl - siamo certi che questo disegno non troverà spazio nelle istituzioni e, ciascuno nella sua diversa responsabilità, agiscano partendo dal presupposto del rispetto della legalità e della sovranità popolare".




Deve essere chiaro a tutti quanti, coma ha ancora ricordato oggi il presidente della camera Fini,

che" la maggioranza e' quella che esce dalle urne" e il voto a dato ragione alla coalizione pdl-lega,piaccia o non piaccia.

L'opposizione si deve mettere in testa che non sara' una mezza sentenza per di piu' di 1°grado a far crollare il governo e che il governo e' stato eletto legittimamente dalla maggioranza degli italiani e che continuera' a governare fino alla fine del suo mandato.

Tutto il resto sono solo congetture di chi pur di prendere il potere e' disposto a passare sopra alle libere scelte di noi cittadini che consapevolmente abbiamo scelto Berlusconi come premier,anche perche' nell'attuale opposizione non c'e' un personaggio in grado di poter governare tenendo unita una coalizione.


Attacco al premier, Fininvest pronta al ricorso E Cicchitto: "In piazza contro il colpo di mano"


Milano - Tanto per dissipare gli scenari più clamorosi: non c’è alcuna possibilità che questa mattina e neppure domani gli ufficiali giudiziari bussino alla sede della Fininvest per pignorare quattrini o azioni per conto di Carlo De Benedetti. Che l’impatto della sentenza del tribunale di Milano - con la condanna del gruppo di Silvio Berlusconi a versare 750 milioni di risarcimento all’Ingegnere - sia potenzialmente devastante non c’è alcun dubbio. Ma prima che se ne vedano le conseguenze concrete passerà ancora un po’ di tempo. E gli avvocati del Biscione non sono ancora rassegnati al kappaò: nel ricorso in appello che si accingono a preparare, ci sarà anche la richiesta di sospendere l’efficacia della sentenza di primo grado, proprio per l’impatto irreparabile che la sua esecuzione avrebbe sull’equilibrio della Fininvest.
Intanto, però, dall’altra parte - in casa De Benedetti - si godono il successo, preparando le mosse successive. È indubitabile che se la sentenza del tribunale crea problemi enormi in casa Fininvest, pone anche la Cir di fronte a scelte non facili. La clamorosa decisione del giudice Raimondo Mesiano è un’arma in mano a De Benedetti. Sta adesso all’Ingegnere se usarla come una clava o se avviare - da posizioni di indubbia forza - una sorta di trattativa con l’avversario. De Benedetti i soldi li vuole. Ma le modalità con cui passerà all’incasso non sono scontate. E i primi segnali da via Ciovassino, sede della holding del proprietario di Repubblica, dicono che il primo approccio sarà relativamente morbido.
Nessun atto di precetto, nessun atto di forza. Appena sarà tecnicamente possibile, i legali dell’Ingegnere faranno partire una raccomandata all’indirizzo della Fininvest limitandosi a segnalare di avere in mano una sentenza esecutiva che obbliga il Biscione a pagare, e invitando Fininvest a comunicare come e quando intende assolvere questa obbligazione. Solo successivamente, in caso non arrivino risposte soddisfacenti, Cir passerà alle maniere forti: atti di precetto, e quindi pignoramento degli asset di Fininvest (cioè i pacchetti azionari di Mediaset, Mondadori, Mediolanum e Milan, più altre partecipazioni minori) fino al raggiungimento del valore.Prima che De Benedetti possa far partire la raccomandata passerà però ancora qualche giorno. Il primo passaggio è ottenere copia esecutiva della sentenza integrale, che dovrebbe essere disponibile già oggi nella cancelleria della Decima sezione civile. Poi la sentenza dovrà passare per l’Ufficio del registro, una struttura dell’Erario che si occupa degli aspetti fiscali. Infine l’atto di precetto, dieci giorni di attesa, poi l’esecuzione.
A meno che alla Fininvest non riesca la contromossa che potrebbe ribaltare lo scenario: convincere la Corte d’appello di Milano che la sentenza di Mesiano è così debole, e così micidiale nelle sue conseguenze, da sospenderne l’efficacia. Nel gergo degli avvocati civilisti si chiama inibitoria, ed è una misura che viene concessa assai raramente: ma è anche vero che in una causa assolutamente eccezionale - e non solo per i risvolti economici - come quella tra Cir e Fininvest, permettere a una sola sentenza, emanata da un singolo giudice, di deflagrare in tutta la sua potenza potrebbe essere considerato eccessivo anche da una Corte d’appello come quella milanese lontana dalle lusinghe del berlusconismo.

sabato 3 ottobre 2009

Il premier: "Dopo il mio governo solo il voto"

Roma - Parte da Annozero, solidarizza con Stefania Prestigiacomo (indagata per peculato dalla procura di Pisa), si sofferma sui rapporti con l’opposizione e - forse con un occhio alla decisione della Consulta sul Lodo Alfano - chiude a ogni possibilità di governissimo. Parla in Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e dice di aver «apprezzato» la scelta di parlamentari e ministri che hanno disertato lo studio di Michele Santoro perché in «trasmissioni del genere» è meglio non esserci. Tutto sono, chiosa, fuorché servizio pubblico. Concetto su cui insiste molto anche Paolo Bonaiuti, convinto che «la libertà di stampa non può essere identificata con le dieci domande di Repubblica o con una trasmissione come Annozero, da giorni annunciata con grande fragore come tutta dedicata ad andare contro il premier».Davanti ai ministri, però, è soprattutto dell’opposizione e del futuro che parla Berlusconi. Perché, ragiona, non c’è alcun dialogo con il centrosinistra che cerca solo di «intimidirci con le menzogne». Il Cavaliere, però, si dice «tranquillo» perché il governo durerà l’intera legislatura. «Ne ho parlato anche con Fini, dopo questo esecutivo - aggiunge - non c’è nient’altro che il voto». Un ragionamento che è difficile non legare alla decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano attesa per la prossima settimana e sulla quale da almeno 48 ore sia Angelino Alfano che Niccolò Ghedini hanno iniziato in privato a manifestare una certa preoccupazione. Sono in molti, infatti, a sperare in una bocciatura tout court che possa aprire la breccia a un governissimo. Un’ipotesi che il premier respinge categoricamente, cosciente di avere dalla sua Pdl e Lega senza i quali non è possibile ipotizzare maggioranze parlamentari diverse. A meno che il presidente della Camera - forte di una pattuglia di fedelissimi - non si presti al gioco. Certo, la scelta di Gianfranco Fini che ieri ha voluto pubblicamente rinunciare al Lodo Alfano per difendersi dalla querela di Henry Woodcock non è passata inosservata e a Palazzo Grazioli sono in molti vederla come una «provocazione», ma di qui a prestarsi a una manovra di Palazzo con il resto dell’opposizione ce ne vuole. Anche perché, sintetizza un ministro vicino al Cavaliere, poi «farebbe la fine di Lamberto Dini che oggi si ritrova a fatica un seggio in Senato». Uno scenario, quello descritto da Berlusconi in Consiglio dei ministri, che in qualche modo troverebbe conferma anche nell’attivismo del Quirinale, da giorni impegnato in una sotterranea e informale morual suasion sulla Consulta affinché tenga ben presente le conseguenze politiche delle sue decisioni.Ma non solo di Annozero e Lodo Alfano si occupa Berlusconi, alle prese anche con le tante assenze durante il voto finale del decreto che contiene lo scudo fiscale. Il testo passa per 20 voti e se l’opposizione fosse stata al completo la norma tanto contestata da Pd, Idv e Udc sarebbe stata bocciata aprendo un falla enorme nel governo. Circostanza che fa infuriare il Cavaliere, che ne ha per tutti gli assenti compreso Giulio Tremonti (ieri di rientro da Goteborg). D’altra parte, è ormai da qualche mese che ci sono frizioni con il ministro dell’Economia, concentrato soprattutto sul chiudere i cordoni della borsa in tutte le occasioni possibili. Circostanza che più d’una volta ha messo il premier in difficoltà rispetto a impegni già presi con i ministri e che ultimamente ha trovato anche forti perplessità in Gianni Letta (non a caso i 3-4 miliardi che dovrebbero arrivare dallo scudo fiscale finiranno in un fondo speciale gestito da Palazzo Chigi). Con qualche incomprensione, pare, anche su Corrado Passera, l’ad di Intesa San Paolo che non ha sottoscritto i Tremonti bond.

Prima di volare a Milano per la prima del Barbarossa, nel pomeriggio il premier torna su Annozero in una riunione con Boaniuti. La convinzione di tutti e due è che non si debba «far diventare Santoro un martire» perché «non chiede altro». Insomma, continuare a caricare d’attesa ogni puntata di Annozero significa soltanto impennarne gli indici di ascolto come confermano gli oltre sette milioni di spettatori di giovedì. L’intenzione, dunque, è quella di rispondere sì colpo su colpo ma seguendo una strategia soft. Anche se, assicura Bonaiuti, «non ci sarà alcuna contro-programmazione perché il servizio pubblico non è fatto per mettere una contro l’altra una trasmissione di destra e una di sinistra». Insomma, spiega Berlusconi in collegamento telefonico con la festa della Dc per le Autonomie, la manifestazione per la libertà di stampa di oggi «è una vera farsa» perché «la libertà è molto più ampia in Italia di qualunque altro Paese occidentale».

Scudo fiscale, Napolitano alza la voce: ''Non firmare non significa niente''

Potenza, 3 ott. (Adnkronos) - ''Nella Costituzione c'è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi, il Parlamento vota un'altra volta quella legge. Nella Costituzione c'è scritto che a quel punto io sono obbligato a firmare. Se mi dite non firmare, allora non sapete che non significa niente''. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ad alcuni cittadini che a Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, gli chiedevano di non firmare la legge sullo 'scudo fiscale'.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Scudo-fiscale-Napolitano-alza-la-voce-Non-firmare-non-significa-nulla_3839086262.html

mercoledì 30 settembre 2009

Silvio: lunga vita a Santoro, ci porta voti E la D'Addario va ospite ad Annozero


Gongola sicuramente Michele Santoro. Le polemiche scatenate per la presenza in studio, nella puntata di giovedì sera, di Patrizia D’Addario sono lo spot migliore per rifare il boom di ascolti della prima puntata. Gongola anche Silvio Berlusconi, però, che mercoledì mattina dai microfoni di Sky ha augurato «lunga vita alla Dandini e a Santoro che non fanno altro che portare voti al centrodestra».Intanto su Annozero, come al solito, è bufera. «Avevo dato la mia disponibilità di massima a partecipare alla puntata di domani, che mi era stata presentata - dice Flavia Perina, direttore del Secolo d'Italia - come dedicata al ''sistema Tarantini'' e al rapporto tra il potere e le donne. L'annuncio della presenza in studio della signora D'Addario mi ha costretto a declinare l'invito, con la convinzione che una trasmissione così congegnata rischi di risolversi nella ricerca di facili effetti scandalistici. Ho troppo rispetto per la politica, e per il tema della dignità della donna, per affidarla a un confronto di questo tipo».Romani: "Verificare se D'Addario è compatibile con il servizio pubblico" - Più cauto Paolo Romani, viceministro alle Comunicazioni. «Do giudizi complessivi e non conosco il programma di domani sera. Leggo dalle agenzie di stampa che sarà ospite di Santoro Patrizia D'Addario: ci sarà il solito problema di verificare se un programma di questo tipo, con questo tipo di presenze e di interventi, sia compatibile con il servizio pubblico», ha dichiarato Romani, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano un commento sulla partecipazione dell'escort barese alla puntata di domani di Annozero.Dopo aver stigmatizzato la mini-fiction ambientata nei bagni di Palazzo Grazioli e proposta da Serena Dandini nella nuova edizione di Parla con me, partito ieri sera su Raitre, Romani ha spiegato di aver «visto solo un pezzetto del programma. E comunque – ha concluso – non do pagelle».Mercoledì mattina intanto il Cavaliere ha fatto un intervento a tutto campo ai microfoni di Sky. "...e telefonatemi, che mi sento solo...". Il presidente del consiglio, Silvio Berlusconi ripropone nuovamente, questa volta in diretta su Sky Tg24 Mattina, la battuta fatta ieri al termine del collegamento con 'Unomattina’. Quella di martedì era "appunto una battuta detta ironicamente - precisa il premier - accentuata da certa stampa. In realtà se c'è una cosa che non riesco a essere è proprio 'solo’, se non la notte, quando preparo i miei interventi e il lavoro del giorno successivo".
È un Cavaliere in piena forma, a tutto tondo. Che non tralascia alcun argomento: dalla politica al suo Milan, passando per lo scudo fiscale, il canone e le polemiche in Rai, il cinema (“Sono contento che l’Italia abbia scelto 'Baaria’ di Giuseppe Tornatore per la corsa all’Oscar al miglior film straniero, una scelta scontata. Credo che non ci possa essere italiano che si sottragga al piacere di vedere questo film, consiglio a tutti di andarlo a vedere - ha detto Berlusconi - e sono orgoglioso che sia stato prodotto da Medusa") fino ai temi etici e ai problemi morali, per cui "nel Pdl c'è sempre stata libertà di coscienza e sempre ci sarà". Unico tasto che non vuole toccare è quello dei magistrati: "Per amor di patria non parlo di magistratura".
Ma andiamo per gradi.
Lunga vita a Dandini e Santoro – “Lunga vita a Michele Santoro e Serena Dandini che non fanno altro che portare voti al centrodestra". Silvio Berlusconi era un fiume in piena: "Io no tanto tempo per guardare la televisione, ma da quel che so io non credo poi che questi programmi abbiano tanto successo". Quanto all’istruttoria su Santoro, "non me ne sono interessato e non mi voglio interessare di queste cose perché è facilissimo cadere in qualche tranello". E sempre a proposito di televisione, ha aggiunto il capo dell’esecutivo, “tutti possono stare in Tv quanto vogliono finché non si fa un uso criminoso della televisione, cioè finché non si utilizza la televisione per commettere dei reati, per esempio un reato che può essere fatto facilissimamente attraverso la stampa o la televisione è la diffamazione di qualcuno. Credo che questa sia una leva - aggiunge - che non può essere contraddetta da nessuno. Aggiungo che come editore ho l’orgoglio di aver dato vita a dei giornali e delle reti che non hanno mai fatto, nemmeno singoli programmi di attacco contro qualcuno. E questa - conclude - dovrebbe essere la regola che tutta la televisione e specialmente la tv pubblica pagata con i soldi di tutti"
Fiat e incentivi – Quanto all’appello dell’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne per una nuova serie di incentivi al settore auto, Berlusconi ha promesso che “responsabilmente esamineremo la situazione. Abbiamo fatto un intervento molto positivo nel settore auto, se quando scade il provvedimento c'è necessità e convenienza di rinnovarlo il governo non si tirerà indietro". Le parole di Berlusconi sono risultate gradite tanto all’ad di Fiat quanto al presidente del Gruppo Fiat Luca Cordero di Montezemolo “È incoraggiante. Ho apprezzato quello che ha detto”, ha sottolineato Sergio Marchionne, “Siamo disposti a lavorare con il sistema per trovare una soluzione sugli incentivi per l’anno prossimo e il 2011”.Dello stesso avviso anche Montezemolo: “Io penso che abbia perfettamente ragione nel senso che gli incentivi, non dimentichiamocelo, non sono denaro alle aziende ma incentivi ai consumi". Gli incentivi, rileva Montezemolo, "hanno portato tre fattori positivi in Europa: in Francia, in Germania, in Inghilterra e in Italia. Hanno rappresentato un freno al problema occupazionale e hanno evitato un aumento della disoccupazione in quel settore; hanno rappresentato un forte incentivo ai consumi e il ricambio del parco di vetture meno inquinanti e più ecologiche; hanno favorito tutta la filiera della componentistica". Con un coordinamento delle politiche europee, aggiunge il presidente del gruppo torinese, "è utile ripristinare gli incentivi per evitare un problema occupazionale, il problema più grave che ora dobbiamo affrontare". Quindi Montezemolo accoglie "con soddisfazione" le parole del premier che sono "condivisibili". Rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se fossero necessari per il 2011, Montezemolo aggiunge: "Va visto in una logica e secondo l’andamento del mercato".
Crisi alle spalle - "Tutti i leader del G20 sono stati concordi nel ritenere che il peggio della crisi è alle spalle. Instillando fiducia la crisi potrebbe andare verso una ripresa e si potrebbe tornare a situazione precedente -ha aggiunto il presidente del Consiglio -. Con la fiducia, e senza paura, spiegando ai consumatori che non c'è ragione di cambiare il proprio stile di vita, perché il fattore psicologico è determinante".
Fini e libertà d’opinione – A proposito delle divergenze di opinione con il presidente della Camera Gianfranco Fini, il Cavaliere sottolinea come “Fini ha diritto alle sue opinioni su qualsiasi argomento. Dentro un grande partito - prosegue - le differenze rappresentano una grande ricchezza". Il premier aggiunge inoltre che "nel nostro partito c'è sempre stata libertà di coscienza sui temi che riguardano l’etica e la morale".
Libertà di stampa – Nell’intervista a Sky Yg24 Mattina c’è anche spazio per la manifestazione in programma sabato 3 ottobre a Roma. "Una farsa assoluta". Non usa mezzi termini Silvio Berlusconi nel criticare l’iniziativa: “In Italia c'è una tale libertà di informazione da non poter essere confrontata con nessun altro Paese, tutte le persone lo sanno. La manifestazione è una farsa che ci fa del male, questa anti italianità fa del male al Paese".
Cuore rossonero – Un piccolo dolore al cuore del presidente del Consiglio, quest’anno, viene da uno dei suoi grandi amori, il Milan: "Il Milan non attraversa una fase positiva, anche se resta la prima squadra al mondo. Quella se fosse un disastro era una domanda, e io ho detto che questi giorni non sono il periodo che ci da più soddisfazione. Come al solito la stampa fa il suo mestiere e cerca sempre il titolo".
Futuro per gli italiani – Cosa farà Berlusconi da grande? È questo l’ultimo argomento che il premier ha deciso di trattare nell’intervista: "Il mio futuro sarà di grande impegno e al servizio dell’Italia e degli italiani, così come fatto finora con una straordinaria squadra di governo e con una straordinaria maggioranza. Noi andremo avanti nella realizzazione del programma - aggiunge il premier - avendo messo avanti a tutto l’impegno di rispettare tutti gli impegni presi con i cittadini e noi li rispetteremo fino all’ultimo".

sabato 26 settembre 2009

Il dibattito/ Brunetta e Capezzone:"Il Pdl va rilanciato. Ecco come"


Renato Brunetta e Daniele Capezzone ragionano sul futuro del Pdl. L'Italia, dicono, è divisa in due: una maggioranza ottimista e lavoratrice, che tira il carro dell'economia, e una minoranza fannullona e parassitaria, che frena per mantenere saldi i propri interessi. Questa è la casta che vuole dettare legge, eredità di un '68 che ancora oggi ci portiamo dietro. La sfida del governo e del partito, dunque, è riuscire a battere le elite che vivono sulle spalle dell'Italia sana. Federalismo fiscale, piano per il Sud, detassazione dei contratti, rinnovi legati al territorio, liberalizzazioni, concorrenza di pubblico e privato nelle scuole e nella sanità, presidenzialismo, monocameralismo, abolizione delle province, riduzione dei parlamentari saranno gli strumenti principi del Pdl. Voi che cosa ne pensate? Scrivetecelo qui, il dibattito sarà pubblicato su Libero-news. Brunetta e Capezzone risponderanno ai lettori. Nell’Italia degli ultimi decenni si è determinata una geografia politico-sociale pressoché unica nell’Occidente avanzato, basata su una sempre più netta distinzione tra due diverse realtà.Da una parte, c’è l’Italia - ultramaggioritaria - che rischia tutti i giorni; che è legata al merito, alla competitività, alla trasparenza; che sta sul mercato; che è esposta al vento della concorrenza; che mette in gioco se stessa, la propria famiglia, i propri beni. E’ l’Italia che lavora e produce; è l’Italia dei lavoratori dipendenti che rischiano il posto; è l’Italia delle piccole e piccolissime imprese dell’industria, del commercio, dell’artigianato, dei servizi; è l’Italia dei professionisti; è l’Italia dei disoccupati e dei sottoccupati non tutelati; è l’Italia di quanti, oggi anziani, hanno già dato il loro contributo alla propria famiglia e al Paese.Dall’altra parte, c’è l’Italia - più piccola e minoritaria - che non vive con queste regole: è l’Italia della rendita, delle corporazioni, dei furbi, dei fannulloni, dei garantiti. Naturalmente, non si può e non si deve fare di ogni erba un fascio, ma questo aggregato è composto dall’Italia dei cattivi dipendenti pubblici, della cattiva politica, della cattiva magistratura, delle cattive banche e della cattiva finanza, della cattiva editoria, dei cattivi sindacati (arricchiti economicamente ma impoveriti politicamente e civilmente dalla trattenuta automatica praticata su lavoratori e pensionati spesso ignari); in altre parole, siamo dinanzi all’Italia che vive in modo parassitario e improduttivo sulle spalle della prima Italia. Questa seconda Italia, pur numericamente più ridotta e marginale, dispone di mezzi e strumenti per farsi rappresentare e addirittura sovrarappresentare in modo potente e efficacissimo; le riesce perfino di accreditarsi come classe generale, come espressione e coscienza del Paese tout-court, come riferimento etico, culturale, civile della Nazione. Si tratta, a ben vedere, dei protagonisti di residui pseudoculturali del ’68 e dei settori più egoisti della borghesia italiana: la loro cifra civile è spesso quella del cinismo, della diffidenza rispetto agli esiti e ai metodi democratici, della chiusura in una dimensione tutta interna al perimetro dell’establishment.I vertici della sinistra- Costoro hanno beneficiato di un doppio paradosso. Intanto, la prima Italia, impegnata a lavorare e a produrre, ha di fatto finito per delegare alla seconda Italia l’organizzazione e la gestione dei beni e dei servizi pubblici (scuola, cultura, università, salute, giustizia, burocrazia), attualmente egemonizzati da una ridotta e potentissima casta. E così, chi rischia ogni giorno per sé e i propri figli, ha affidato e consegnato i beni della coesione sociale ad una classe che vive secondo regole opposte ai principi del mercato, del merito, dell’accountability, e - da quel ceto - subisce perfino giudizi di carattere moralistico, come se la seconda Italia potesse vantare una dimensione etico-politica superiore. In più - paradosso ancora clamoroso - la sinistra tradizionale ha incomprensibilmente scelto di difendere e rappresentare proprio questa Italia peggiore, tradendo ogni speranza di rinnovamento e schiacciandosi a tutela della parte meno dinamica e innovativa della società italiana. Simmetricamente, gli eredi del ’68 e le borghesie più chiuse hanno avuto grande spazio ai vertici della sinistra politica: gli uni captati e cooptati dagli altri, e viceversa, con la trasformazione degli “indipendenti di sinistra” di altre stagioni in vere e proprie guide di ciò che resta dell’apparato del Pci-Pds-Ds-Pd. Lo spettacolo dei banchieri in coda per le primarie prodiane resta una testimonianza plastica di questo fenomeno.Tangentopoli e la svendita dell'Italia- Buona parte di questo fenomeno trae anche origine dal golpe mediatico-giudiziario degli anni ’90, con un’azione selettiva e faziosa volta a colpire ed eliminare soltanto una parte ben individuata del ceto politico di allora, aprendo la strada non solo ad un violento e forzoso “ricambio” di governo, ma anche ad una marcata sudditanza rispetto ad interessi non italiani. A questo proposito, non va dimenticato il modo - grave e dannoso per il Paese - in cui sono avvenute tante cosiddette “privatizzazioni”, che meglio andrebbero definite come vere e proprie spoliazioni: con l’Italia che si è ritrovata improvvisamente priva - in tempi serrati e a prezzi da svendita - di gangli essenziali del proprio sistema produttivo, e senza alcun beneficio concorrenziale e di mercato per i cittadini, ma con un frequente passaggio da monopoli o oligopoli pubblici a monopoli e oligopoli privati.La sfida di oggi- Diversi lustri dopo quegli eventi, resta questa, in termini strutturali, la sfida tuttora in corso. Da una parte ceti produttivi, dall’altra ceti parassitari e burocratici; da una parte chi spinge per le riforme e il cambiamento, dall’altra chi parteggia per il mantenimento dello status quo e di un comodo immobilismo sociale; da una parte uno schieramento popolare e interclassista, dall’altra una élite autoreferenziale con scarsi ancoraggi nell’Italia reale; da una parte un partito libero di determinare le sue politiche grazie all’outsider Berlusconi, dall’altra un’aggregazione vincolata dal rapporto con alcuni interessi forti che vorrebbero dirigere il Paese senza consenso. E’ espressione evidente di questa contrapposizione il fatto che il centrodestra berlusconiano, oltre a conservare intatta la sua tradizionale area politico-elettorale, ottenga oggi anche il doppio dei voti operai rispetto al Pd e alla sinistra, e sappia anche beneficiare di un ulteriore spostamento di voti riformisti e di sinistra moderata verso il Pdl.Conservatori e rivoluzionari- Esattamente per queste ragioni, il Popolo della Libertà è capace di sciogliere antiche contrapposizioni e antinomie, e in primo luogo quella tra datori di lavoro e lavoratori, oggi storicamente uniti dall’esigenza vitale di puntare sulla crescita e sull’espansione dell’area del benessere. Questo movimento politico entra nel nuovo secolo sciogliendo e portando a sintesi le antitesi del Novecento: è l’incontro dei riformatori liberali e solidali, e può orgogliosamente dirsi - nello stesso tempo - conservatore e rivoluzionario. Conservatore perché è un grande movimento capace di esprimere il senso comune di un popolo, la sua tradizione e le sue radici; rivoluzionario perché è il partito che vuole e sa sconfiggere l’Italia delle rendite e del privilegio. Solo un grande movimento legato ai valori popolari, infatti, ha poi l’ansia e la tensione necessari per essere il motore della modernizzazione, il partito-guida dell’Italia che cambia e che cresce.La stagione politica- In questo quadro, si inseriscono le sfide della stagione politica che si apre. Noi arriviamo al dopo-crisi essendo riusciti, nell’ultimo anno, a garantire la migliore condizione possibile dei conti pubblici, e insieme una buona difesa della base produttiva e occupazionale. Il Governo Berlusconi ha agito per perseguire tre obiettivi fondamentali: tenuta della finanza pubblica e rispetto dei parametri europei, liquidità per le famiglie e le imprese, allargamento della rete di protezione sociale. E’ anche grazie a questa azione che l’Italia ha retto meglio di altri Paesi, nonostante i due grandi vincoli rappresentati dal debito pubblico (che impedisce di usare la finanza pubblica come volano per favorire l’uscita dalla crisi) e dal declino demografico (che ci priva di quantità e qualità di capitale umano). Su questa strada, e sulla definizione di un nuovo e più dinamico assetto di relazioni industriali, è stata mantenuta la coesione sociale, nonostante che l’opposizione e un pezzo di sindacato abbiano vanamente cercato di provocare un autunno caldo: e invece, si è stretta intorno al Governo la gran parte delle rappresentanze sociali e imprenditoriali, un blocco sociale leale e responsabile rispetto all’Italia e agli italiani, capace di perseguire l’interesse nazionale.Così, dopo neanche un anno e mezzo dall’apertura dell’attuale legislatura, il fatto nuovo è che il Governo Berlusconi e la maggioranza stanno non solo assicurando una rigorosa ed efficace gestione del presente e il più rapido aggancio possibile verso la ripresa, ma, con le riforme messe in campo, hanno davvero iniziato a mettere in discussione l’area della rendita, del privilegio, dell’immobilismo sociale. In questo, cioè su questo fondamentale obiettivo strategico, Pdl e Lega sono già uniti: di più, rappresentano un unico blocco riformatore, un’unica rappresentanza sociale e politica del popolo dei produttori rispetto al blocco dei difensori dello status quo. Questa è la posta in gioco, e insieme l’oggetto della rivoluzione in corso. Di fronte all’importanza di tutto ciò, è assolutamente naturale e fisiologico che, in un partito già del 40% e che punta al 50%+1 dei voti, vi siano su altri e più specifici temi, a partire dalle questioni eticamente sensibili, approcci e opinioni diverse, che contribuiranno ad arricchire e irrobustire il Popolo della Libertà.Al centro la persona- E davvero si può dire che al centro dell’intera azione politica del Governo e della maggioranza ci sia la persona, e - soprattutto - l’allargamento della sfera della decisione e della scelta privata rispetto a quella della decisione e della scelta pubblica e collettiva. E’ così per la riscrittura del rapporto tra cittadino e Pubblica Amministrazione impostata dal Ministro della Funzione Pubblica; è così per le iniezioni di meritocrazia e responsabilità che animano le riforme incardinate dal Ministro dell’Istruzione dell’Università; è così per il doppio obiettivo di non lasciare nessuno indietro e di costruire un più dinamico e meno ingessato sistema di relazioni industriali da parte del Ministro del Welfare; è così per il recupero di efficienza in sede civile e di terzietà del giudice rispetto alle parti in sede penale, sulla base delle riforme perseguite dal Ministro della Giustizia; è così per la razionalizzazione, e in qualche caso la riduzione, delle risorse pubbliche destinate dal Ministro della Cultura a iniziative spesso improduttive, incapaci di vivere sul mercato e di attrarre risorse e investimenti, desiderose sempre e solo di sussidi e finanziamenti pubblici, e perfino ignare dei rischi di una statalizzazione e politicizzazione della cultura; è così per ogni altro settore dell’azione dell’Esecutivo, sempre in linea con un approccio di sussidiarietà centrato sul favor per la concorrenza, per la scelta tra più opzioni nei servizi essenziali, per l’intervento del privato o eventualmente dell’ente territoriale più vicino alla persona. Esistono alcune sfide strategiche, da questo punto di vista, che potrebbero segnare i prossimi lustri della politica italiana:
la piena realizzazione del federalismo fiscale, capace di mettere sotto controllo la spesa pubblica ad ogni livello territoriale, di innescare meccanismi competitivi tra territori nell’attrazione di risorse e investimenti, di determinare una maggiore e più penetrante vigilanza dei cittadini sui loro amministratori e sull’uso e il prelievo del denaro pubblico, di contribuire ad una significativa compressione del nero e dell’evasione fiscale, e, soprattutto, di creare le condizioni per l’avvio della riduzione della pressione fiscale nei confronti sia delle persone che delle imprese;
l’attuazione di un grande Piano per il Sud da realizzare attraverso l’efficienza, la produttività, la trasparenza, la lotta alla corruzione, la qualità della burocrazia e il federalismo fiscale; portando a compimento le grandi opere e le infrastrutture materiali e immateriali necessarie allo sviluppo del Mezzogiorno; infine, chiedendo all’UE di credere nel Mezzogiorno non solo in nome della coesione interna ma anche di una coesione esterna;
una politica estera di rilancio della nostra economia capace di cogliere le grandi occasioni di sviluppo offerte, da un lato, dall’emergere prepotente sulla scena mondiale delle economie dell’Asia dell’Est e del Sud-Est (con al centro la Cina) e dell’Asia del Sud (con al centro l’India) e, dall’altro, dalla fuoriuscita dalla crisi;
l’avvio della detassazione della contrattazione di secondo livello, favorendo rinnovi contrattuali maggiormente legati al territorio e alle aziende, valorizzando per tutti l’elemento della produttività;
la ripresa di un percorso di liberalizzazioni che apra davvero il mercato, che non sia solo rivolto contro la base sociale ed elettorale del centrodestra, com’è sistematicamente avvenuto nella stagione di governo del centrosinistra, e che non sia concepito “contro”, cioè per spaventare o impoverire qualcuno, ma “per”, cioè per aprire nuove opportunità al cittadino-consumatore-utente: in questo senso, appare ineludibile la messa in discussione dell’attuale, appesantito e anticoncorrenziale assetto dei servizi pubblici locali;
una maggiore possibilità di scelta per il cittadino, e insieme di concorrenza tra pubblico e privato, nei settori della scuola, dell’università e della sanità, attraverso i meccanismi del “buono” o del credito d’imposta;
un nuovo assetto istituzionale più adeguato alle esigenze di velocità e decisione della modernità in cui siamo immersi, centrato sul presidenzialismo, sul monocameralismo, sulla netta riduzione del numero dei parlamentari, sull’abolizione delle Province.Rispetto alla fase politica che si apre, il Pdl, pur appena nato, può già far tesoro di tre grandi punti di forza rispetto al campo avverso. Il primo è naturalmente rappresentato dalla leadership popolare, fortissima, non consumata dai rituali della politica, di Silvio Berlusconi. In secondo luogo, il centrodestra ha manifestato la capacità, nei momenti elettorali, di puntare su una assoluta compattezza programmatica, isolando le poche questioni su cui chiedere agli elettori di esprimere il proprio consenso, costruendo una base programmatica immediatamente comprensibile ed evitando i programmi-zibaldone. Infine, il nuovo Pdl può già farsi forte di una rete di think tank, centri studi, fondazioni, giornali, riviste, agenzie, come luoghi chiamati non ad un generico o astratto dibattito, ma alla concreta produzione di software, di contenuti politici, di “attrezzi” e proposte immediatamente trasferibili nel momento elettorale e poi soprattutto in quello di Governo.Nasce e si afferma così un grande partito moderno e soprattutto post-ideologico. Nessuno è esposto al rischio di perdere qualcosa della propria identità, delle radici e delle matrici culturali e politiche a cui è legato: il tema, invece, è quello di una offerta politica che non deve mai assumere profili e connotati non inclusivi, di chiusura, o legati a riflessi minoritari. Il che non vuol dire assumere sfuggire alle scelte: anche sulle questioni più complesse o controverse, solo che lo si voglia, c’è tutto lo spazio per giungere a una sintesi e a un punto di equilibrio ragionevole. Poi, sarà compito di una vita di partito intensa e segnata da regole precise, così come del network di realtà culturali che ruota intorno al partito, animare la discussione e garantire piena cittadinanza anche alla posizione che, nell’una o nell’altra occasione, non sarà risultata prevalente. Il resto sarà virtuosamente affidato alla grande medicina del “mercato” politico-elettorale. E’ quello che lo straordinario popolo degli elettori del Pdl chiede al nostro - e soprattutto loro - partito.
Renato Brunetta-Daniele Capezzone