mercoledì 9 settembre 2009

Lodo Alfano, l'attesa per una sentenza serena della Consulta

Roma, 9 set (Velino) - L’udienza pubblica che il plenum della Corte costituzionale terrà il 6 ottobre prossimo sul “lodo Afano” (la decisione, comunque, non dovrebbe esserci prima dell’8) sembra essere diventata la madre di tutte le “scadenze” attesa dalle opposizioni per regolare i conti, se favorevole, con Silvio Berlusconi. Ma in realtà la decisione della Consulta influirà ben poco anche se non dovesse essere positiva per la maggioranza che appoggia il governo. Il premier, infatti, può temere ben poco perché il processo a suo carico per la presunta corruzione dell’avvocato inglese David Mills, dovrà ricominciare da capo, con altro giudice e, quantomeno per prescrizione, tutto finirà senza una sentenza negativa per lui. Quanto alle indagini sulle stragi mafiose del ‘92 che i magistrati di Caltanissetta hanno riaperto e che di riflesso interesseranno quelle successive di Firenze e di Milano, bisognerà attendere ancora qualche mese, ma la sopravvivenza o meno del “lodo” inciderebbe, almeno politicamente, davvero poco.
Comunque, mai come questa volta, i giudici della Consulta sono attesi al “varco” e mai su di loro era stato esercitato un pressing tanto feroce da alcuni settori dell’opposizione. Se si dovesse dar credito alla provenienza ed alla fonte di designazione dei giudici costituzionali e stabilire che la valutazione che essi faranno del “lodo” sarà squisitamente politico, non ci sarebbe storia. L’immunità dei vertici delle istituzioni votata dalla maggioranza di centrodestra sarebbe bocciata. La sinistra, infatti, sulla carta è da 15 anni maggioranza nel plenum, da quando, cioè Oscar Luigi Scalfaro nominò ben 5 giudici tutti di sinistra. La situazione si è leggermente riequilibrata negli ultimi anni, ma il vantaggio è della “sinistra”. A questo fronte possono essere indicati il presidente Francesco Amirante ed il suo vice Ugo De Siervo. Vengono poi l’ex ministro Franco Gallo, Gaetano Silvestri eletto dal Parlamento in quota Ulivo nel 2005, Sabino Cassese, Maria Rita Saulle e Giorgio Tesauro nominati dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Con la destra, sulla carta, sarebbero schierati invece, Paolo Maddalena, Alfio Finocchiaro, Luigi Mazzella, Paolo Maria Napolitano, Giuseppe Frigo e Alessandro Criscuolo. Fuori dagli schieramenti ufficiali Alfonso Quaranta, eletto dal Consiglio di Stato, e il cattolico Paolo Grossi, nominato da Napolitano. Proprio questi ultimi due giudici potrebbero fare la differenza, ma la bontà o meno costituzionale del “lodo” potrebbe non limitarsi ad una scelta in funzione esclusivamente politico-partitica. Certo gli attacchi di Antonio Di Pietro contro Mazzella, accusato di essere andato a cena con il Cavaliere (seppure in presenza di decine di altri commensali), qualche effetto lo hanno provocato, non per nulla in tanti hanno parlato di “intimidazione”, ma il giudizio della Corte potrebbe essere più libero ed indipendente di quel che non si creda e questo grazie anche ai precedenti. C’è infatti una sentenza con la quale la Consulta traccia la strada. È quella con la quale dichiarò illegittima la legge n. 140 del 2003 (nota come “lodo Maccanico”, espressione adoperata addirittura dalla stessa Corte nel comunicato stampa con il quale annunciava la decisione presa).
Il giudizio dei giudici della Consulta fu molto stringato, ma per niente contrario alla questione di fondo affrontata dal “lodo”. La Corte infatti censurò la norma oggetto del giudizio di costituzionalità, senza sconfessare del tutto la ratio della norma stessa, come hanno riconosciuto buona parte dei costituzionalisti italiani, sostenendo: “Ciò non significa che quello delle sospensioni (dei processi, ndr) sia un sistema chiuso e che il legislatore non possa stabilire altre sospensioni finalizzate alla soddisfazione di esigenze extraprocessuali, ma implica la necessità di identificare i presupposti di tali sospensioni e le finalità perseguite, eterogenee rispetto a quelle proprie del processo”. Non solo: il giudice redattore della sentenza, Amirante (lo stesso che adesso presiede la Corte costituzionale), affermò pure che quello della tutela delle cinque più alte cariche dello Stato, al fine del sereno svolgimento delle rilevanti funzioni che ineriscono a quelle cariche è “un interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto, rispetto al cui migliore assetto la protezione è strumentale”. Non, quindi, una violazione dei principi del costituzionalismo (ovvero dello Stato di diritto, come scriveva la Corte), perché la prerogativa di tutela delle alte cariche istituzionali può convivere “in armonia” con quei principi.
Ne discende, come insigni costituzionalisti hanno evidenziato, che “la ripresentazione di una nuova legge, che tenesse conto delle argomentazioni della Corte costituzionale, è perfettamente lecita e legittima”. Tesi condivisa dal professore Cassese che prima di diventare giudice costituzionale scrisse sul Corriere Della Sera del 25 gennaio 2004: “Si può pensare che una durata ragionevole della sospensione ‘dei processi’ possa risolvere anche questo problema ‘di incostituzionalità’. Insomma, la strada imboccata dal Parlamento non è sbarrata”. Proprio per questo il presidente della Repubblica dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi, non ebbe molte difficoltà a firmare la legge votata dal Parlamento,” Il ‘lodo’ non è un problema”, sostenne, confortato da Loris D’Ambrosio, suo consigliere giuridico (confermato nel suo incarico da Giorgio Napolitano) che aggiunse: “La legge non è manifestamente incostituzionale”.

http://www.ilvelino.it/articolo.php?Id=938774#news_id_938774

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