mercoledì 9 settembre 2009

Con Gianfranco un manipolo di irriducibili

La solitudine dei numeri Fini è un po’ la condanna del nuovo Gianfranco. Uno che ha dominato la destra italiana per un ventennio con maggioranze bulgare. Plebiscitarie. E che adesso - l’esempio sono le ultime polemiche su immigrazione e Avvenire - si adatta a fare la minoranza interna, un po’ abbandonato anche dai suoi. Volontà sua. Non gliel’ha detto il medico. È che adesso il presidente della Camera, libero da responsabilità di partito, parla a rotella. Immagina la destra del futuro, anticipa temi, introduce dibattiti. In due parole: fa politica. Il problema? Che il suo approccio futurista a volte imbarazza i soci del PdL. Capita che - su temi come immigrazione, vita, famiglia, etica - elettori e dirigenti non siano sulla stessa lunghezza d’onda di Gianfranco. E non tutti gli ex An riescono a sintonizzarsi sulle nuove frequenze di Radio Fini.
«Non farò una corrente», giurava il presidente della Camera al congresso del PdL. Perché allora, era il ragionamento, tanto valeva tenersi An. Oggi? Una parte di via della Scrofa non sta più con lui. Lecito: fusione con Forza Italia significa che i due partiti devono mischiarsi. Vale un po’ il principio della porta girevole: alcuni vanno, altri vengono. Il fatto è che finora l’andazzo è stato abbastanza univoco. Verso Silvio Berlusconi. Prendiamo il caso di Altero Matteoli. Il ministro delle Infrastrutture, uno dei più apprezzati dal premier, è stato presentato in alcune cronache politiche come «ex fedelissimo» di Fini. E ha dovuto precisare con un filo di imbarazzo: «Non capisco da dove sia uscito quell’ex».
Stesso discorso per altri colonnelli di An. Lunedì hanno testimoniato solidarietà alla terza carica dello Stato attaccata da Il Giornale. Sì, ma non prima che il Cavaliere avesse preso le distanze dal quotidiano. Casualità. Forse. E pure quelli che si dichiarano solidali con lui, non è che poi condividano tutte le sue posizioni. Ancora ancora sulla laicità. Ma sull’immigrazione no, neanche i finiani fino al midollo hanno voglia di seguirlo sulla cittadinanza veloce o sul voto agli stranieri. «Ma Gianfranco con quella uscita ha raggiunto un doppio risultato», ragiona il deputato PdL Marcello De Angelis, «rompere l’accerchiamento e riaprire un canale con il Vaticano. Giordano Bruno passa dal rogo al dialogo».
Il dilemma allora è: organizzare o no la minoranza dentro il PdL? «Adesso è il momento dell’elaborazione politica», risponde un finiano doc, «gli eserciti si organizzano quando c’è una battaglia da vincere». Tradotto: senza un congresso in vista e senza una leadership da contendere, che senso ha fare una corrente? Vero. Chi oggi si iscrive all’area dei finiani, e non sono tanti, lo fa come attestato di stima unilaterale, non è aperto un tesseramento. Ancora la fonte vicina al presidente della Camera: «Ma se decidesse un’iniziativa forte, l’80 per cento dei deputati del PdL eletti in quota An starebbe con lui».
In attesa della chiamata alle armi, oggigiorno si fa presto a passare in rassegna le truppe dell’ex capo della destra. Con lui un tot di deputati, a partire dal vice capogruppo a Montecitorio Italo Bocchino. Proseguendo con Benedetto Della Vedova, Giulia Bongiorno, Alessandro Ruben, Silvano Moffa, Flavia Perina, Enzo Raisi, Donato Lamorte, Paola Frassinetti, lo stesso De Angelis. Al governo Fini può contare sul ministro Andrea Ronchi, sul viceministro Adolfo Urso e sul sottosegretario Roberto Menia. Ci sono poi la corrente dei finiani siciliani (Carmelo Briguglio, Fabio Granata, Pippo Scalia, Nino Lo Presti) e il movimento di deputati meridionali Polo Sud, guidato da Amedeo Laboccetta. In tutto? Più di una ventina. E basterebbero per costituire un gruppo parlamentare autonomo alla Camera.

http://www.libero-news.it/articles/view/570536

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