lunedì 14 settembre 2009

Farefuturo assicura: "Fini non abbandonerà mai Berlusconi''


Roma - (Adnkronos) - Il periodico on line della Fondazione ne è certo: "Non gli farà lo sgambetto né fonderà un suo nuovo partito. Riconoscenza e lealtà non hanno nulla a che fare con i rapporti di potere". Ma soprattutto, si legge nell'articolo che porta la firma di Alessandro Campi, il presidente della Camera "non ha alcuna convenienza ad apparire come colui che colpisce alle spalle il suo antico alleato"

Roma, 14 set. - (Adnkronos) - ''Gianfranco Fini non abbandonera' mai Silvio Berlusconi: non gli fara' lo sgambetto fondando un suo nuovo partito e non dara' una mano ai nemici di quest'ultimo annidati nel Palazzo, nelle redazioni dei giornali e nelle procure''. Lo scrive Alessandro Campi su 'Ffwebmazine', in una articolo intitolato 'Fare politica, oltre il presentismo'.


Roma, 14 set. - (Adnkronos) - ''Gianfranco Fini non abbandonera' mai Silvio Berlusconi: non gli fara' lo sgambetto fondando un suo nuovo partito e non dara' una mano ai nemici di quest'ultimo annidati nel Palazzo, nelle redazioni dei giornali e nelle procure''. Lo scrive Alessandro Campi su 'Ffwebmazine', in una articolo intitolato 'Fare politica, oltre il presentismo'.
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Campi spiega le ragioni della sua affermazione: ''La prima, sentimentale e prepolitica, e' che quindici anni di collaborazione e di amicizia, di incontri che in alcune fasi sono stati persino quotidiani, non si cancellano d'un colpo, solo perche' sono nel frattempo insorte divaricazioni e attriti. Riconoscenza e lealta', si dice, non hanno nulla a che fare con i rapporti di potere, dove contano solo l'interesse e il tornaconto, ma questo e' il realismo dei cinici, che pensano di saperla lunga, di conoscere il mondo la storia e gli uomini, mentre in realta' hanno solo idee confuse e approssimative, finendo cosi' per interpretare la politica a misura delle proprie miserie''.
''La seconda, piu' concretamente e fattuale -prosegue- e' che Fini non ha alcuna convenienza ad apparire - ammesso sia mai stata questa la sua intenzione - come colui che colpisce alle spalle il suo antico alleato, per di piu' in un momento di sua oggettiva difficolta' e in una fase politicamente cosi' turbolenta e magmatica. L'elettorato non apprezzerebbe quello che a tutti gli effetti sarebbe un tradimento, un gesto estremo e imperdonabile, che in politica non ha mai portato fortuna a chi lo ha commesso. A Gubbio Fini e' stato chiaro: il Popolo della liberta' e' rimane il suo partito. Solo che lo vorrebbe diverso da come e' attualmente. Poco piu' di un organigramma, all'interno del quale poco si discute e poco si decide. Un partito che la gente non vota, dice Verdini, uno dei suoi coordinatori, perche' in realta' la gente vota solo e soltanto Silvio Berlusconi. Ma se le cose stanno cosi' perche' non chiuderlo direttamente? Che senso ha mantenere in piedi un simile apparato se si tratta solo di una copertura o di una messinscena, se cio' che conta - oggi, domani, sempre - e' solo e soltanto la volonta' di Berlusconi e la sua capacita' di aggregare consenso qualunque cosa faccia e dica?''.
''La verita' e' che tra i maggiorenti del partito, tra i fedelissimi di Berlusconi, ha preso piede nel corso del tempo un atteggiamento che si puo' solo definire nichilista e potenzialmente autodistruttivo. Il loro problema non e', forse non e' mai stato, dare continuita' storica al berlusconismo, farlo diventare una famiglia politica stabile, ma cavalcare l'onda sino a che ci sara' Berlusconi. Brunetta, per fare un esempio, quest'atteggiamento lo ha apertamente teorizzato: io sono berlusconiano, ha scritto alla lettera, perche' a me del dopo Berlusconi non me ne frega niente. Dopo Silvio, accada pure il diluvio, tanto noi non ci saremo piu' e comunque a quel punto, quanto la festa sara' finita, faremo altre cose. Nel frattempo, pero', quanto ci siamo divertiti!"
"Bene, il problema di Fini, che e' poi il problema dei moderati e della stessa politica italiana, e' esattamente il contrario: far si' che dopo Berlusconi, quando sara', non si torni al punto di partenza, non vincano i restauratori, non ci si trovi in un deserto di rovine. E perche' cio' accada, perche' questi quindici anni di storia italiana non si risolvano in una solitaria cavalcata nel deserto, avvincente quanto sterile, lo strumento del partito e' a dir poco indispensabile. Ma, appunto, un partito vero. Con un leader, certo, ma anche con una base militante, con dirigenti e quadri che trovino qualcuno a Roma disposto ad ascoltarli, con una sua autonoma base culturale, con molte anime e sensibilita' al suo interno, tutte legittime e rispettose le une delle altre, come si conviene a un partito che e' nato per essere inclusivo e plurale, per parlare a quanti piu' italiani possibile, per imporre sulla societa' italiana un'egemonia non effimera"
''E invece questo partito, almeno come appare sinora, e' silente e inconsistente. Dovrebbe essere la cinghia di trasmissione attraverso la quale stabilire un dialogo continuo e costruttivo con la societa' italiana nelle sue diverse articolazioni. Nella realta' succede il contrario. Ci si appella di continuo al popolo, che e' un'astrazione retorica, e si trascura il dialogo con il territorio, con le forze sociali, con gli apparati istituzionali. Peggio, in omaggio all'idea che sia in corso una guerra politica all'ultimo sangue, con l'idea di dover difendere a spada tratta Berlusconi dai suoi molti nemici ovunque annidati, si e' scelto di andare allo scontro frontale con tutto e tutti''.

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