mercoledì 22 luglio 2009

Anche lo scontro politico dovrebbe avere dei limiti

Anche allo scontro politico dovrebbe esserci un limite. Almeno in democrazia. Invece non è così. Da mesi il gruppo editoriale L’Espresso-Repubblica ha intrapreso una campagna di aggressione sul piano personale contro il presidente del Consiglio che non ha precedenti nell’Europa del dopoguerra. Insinuatisi nella vita privatissima di Berlusconi, i giornalisti (coadiuvati da illustri commentatori ed opinionisti, perfino da raffinati politologi) sul libro-paga dell’ingegner Carlo De Benedetti, quotidianamente, dal maggio scorso, ci propongono particolari politicamente irrilevanti sulle presunte attività amatorie e sui gusti sessuali del premier al solo scopo di screditarlo e costringerlo alle dimissioni, non avendo sortito l’effetto sperato le inchieste giudiziarie e, soprattutto, gli sgangherati appelli al popolo da parte dei suoi oppositori. Se non ci sono riusciti fin qui, difficilmente ci riusciranno in futuro, per la semplice ragione che il loro disperato tentativo s’infrange sulla scogliera dell’indifferenza degli italiani ai quali, giustamente, importa poco sapere con quali e con quante donne si accompagna Berlusconi o come impiega il suo (scarso) tempo libero.
Dal momento in cui il “caso Noemi” è esploso con il fragore innocuo di un fuoco d’artificio a quando una procace escort barese ha messo in piazza le performaces erotiche del Cavaliere, consumate in una notte bollente a Palazzo Grazioli (e non a Palazzo Chigi), non ci sembra che l’Italia e le istituzioni pubbliche siano state risucchiate nelle sabbie mobili della politica gettando sconcerto e paura tra la gente, trasmettendo l’immagine di una società ormai preda della sindrome di Sodoma e Gomorra. Piuttosto, per una sorta di legge del contrappasso, è risultato di tutta evidenza l’impantanamento del gruppo editoriale che ha scatenato la guerra mediatica. Intanto perché non ha ottenuto nessun apprezzabile risultato: la caduta del governo, per esempio. E poi perché, nello stesso torno di tempo, è venuto fuori che esso versa in pessime acque dal punto di vista economico-finanziario tanto da prevedere un numero considerevole di licenziamenti e di richieste di cassa integrazione. Innegabilmente il gruppo ha perso credibilità presso un pubblico che era abituato alle sue analisi, alla narrazione dei grandi eventi, alla ricostruzione dei retroscena politici e non al gossip volgare, ripetitivo fino all’ossessione, ai colpi di maglio sulla dignità di un uomo che è sì il capo del governo, ma non per questo è obbligato a subire un danno ingiusto non avendone egli creati al Paese.
L’incredibile vicenda rivela, al di là della pochezza di un giornalismo fatuo e violento al tempo stesso, come la lotta politica in Italia venga ormai finalizzata all’annientamento del nemico, con tutti i mezzi, tanto più efficaci se politicamente impropri, vale a dire più adatti a colpire la fantasia della gente, a costruire inguardabili mostri da additare al pubblico ludibrio. La visione che il gruppo L’Espresso-Repubblica trasmette ogni giorno occupandosi del privato (penalmente irrilevante) di Berlusconi è quella di una tirannide che non potendo essere sanguinaria è necessariamente viziosa e corrotta. E c’è chi, come il Pd al senato, facendo tesoro di tale visione, la raccoglie e la traduce addirittura in una bizzarra proposta di legge che, se approvata, autorizzerebbe non si sa bene quale pubblico ufficiale ad in filarsi tra le lenzuola dei potenti per giudicarne gli intimi comportamenti.
Un caso di costume, adeguatamente manipolato, diventa, dunque, indizio di un totalitarismo morbido giustificato da un orrendo moralismo giacobino, sostenuto – guarda caso – da chi ha costruito le proprie fortune politiche ed editoriali sulla esaltazione della cultura libertaria fino, in alcuni casi, a sposare l’anarchismo sociale come espressione di vitalità ed il libertinismo individuale.
La crudeltà politica sottesa alla creazione nell’immaginario collettivo del Grande Immoralista a cui nulla deve esse perdonato, legittima l’invocazione della gogna mediatica al fine di mondare la società dei comportamenti inaccettabili da lui commessi. E se dopo un lungo tempo nulla di quanto immaginavano i custodi della pubblica moralità si è verificato (fine di Berlusconi, dissoluzione del governo, elezioni anticipate, sdegno popolare) essi non mostrano di volersi arrendere perché la loro vocazione è quella di ergersi a coscienza critica di una nazione intera. Perciò chi ha messo in piedi una tale colossale opera di discredito non la ritiene esaurita e non vede nessuna buona ragione per fermare la macchina che macina il fango. Fu così anche al tempo del Terrore in Francia quando gli apostoli della “liberazione” si facevano guidare da una diabolica ossessione. Oggi, però, la rivoluzione è talmente meschina che non divorerà i suoi figli: li abbandonerà nel dimenticatoio, l’unico luogo che s’addice ai pennivendoli all’inseguimento di qualche puttana

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