sabato 17 aprile 2010

Il vero motivo della frattura: Gianfranco vuole più poltrone

RomaSolo, a rosolare al piano nobile della Camera, Fini ha deciso di minacciare lo strappo. Le vere motivazioni tuttavia non sono il partito caserma, lo strapotere della Lega, la generazione Balotelli, il voto agli immigrati, gli innamoramenti delle coppie di fatto o i temi etici ma la consapevolezza di una sua lenta e inesorabile perdita di potere personale.
Poco prima della fusione nel Pdl si stabilirono le quote del 70 e 30 per cento. Ma il 30 per cento ex aennino oggi fa più riferimento a Berlusconi che non a Fini. Il quale s’è visto perso, emarginato, destinato a fare il neo Bertinotti, cioè a sparire. Non contare, non avere peso, non controllare più gli ex «suoi»: ecco l’incubo di Gianfranco. Non comanda nel partito, non influenza il governo, non riesce a esser un faro neppure in periferia visto che persino la neo governatrice del Lazio, Renata Polverini, per sciogliere i nodi della composizione della sua giunta è corsa a Palazzo Grazioli e non a Montecitorio. Non conquista neppure le masse o le massaie un tempo attratte dal «come parla bene a braccio quello lì». Una sorta di burattinaio che, nel teatrino della politica, s’è accorto di avere in mano sempre meno fili da muovere. Un’emorragia di potere logorante, implacabile, iniziata ben prima della fusione pidiellina, cui sta cercando di porre rimedio con la consueta tattica dello strappo, a lui congeniale.
Nella sua personalissima strategia per non affogare definitivamente, l’eterno delfino nuota ma assieme ad un branco decisamente piccolo. Accanto a lui non ci sono più i pesci grossi che ora sguazzano a loro agio nel nuovo grande acquario del Pdl. Non va nella stessa direzione di Gianfranco il ministro della Difesa Ignazio La Russa, «berluscones» della prima ora, pontiere e pompiere di professione, che ha sempre sudato sette camicie per evitare la separazione tra Fini e Berlusconi. Stesso discorso per il capo dei senatori Pdl Maurizio Gasparri e per il ministro delle Infrastrutture Altero Matteoli che ha già fatto sapere di non voler seguire l’ex pupillo di Almirante. Ma neppure Alemanno e gli alemanniani se la sentono di spalleggiare l’ex capo e, anzi, il sindaco di Roma ieri s’è speso tantissimo per scongiurare il divorzio da Silvio. Scettico pure il ministro della Gioventù Giorgia Meloni, fortemente voluta al ministero proprio da Fini. E persino la Polverini, la candidata inizialmente sponsorizzata da Fini, ha più volte dimostrato di essere maggiormente grata al Cavaliere che non al presidente della Camera: se infatti l’ex sindacalista siede sulla poltrona che fu di Marrazzo lo deve soprattutto alla forsennata campagna elettorale del premier e non certo all’ex capo di An.
Così, il generale Fini è rimasto isolato, appartato, privo dei vecchi «colonnelli», se si esclude una schiera di fedelissimi che vanno dal vicepresidente dei deputati Italo Bocchino al ministro per le Politiche Ue Andrea Ronchi passando per il sottosegretario Adolfo Urso. In mezzo vecchi amici come Donato Lamorte e Carmelo Briguglio e nuovi sostenitori come Giulia Bongiorno, Luca Barbareschi, Alessandro Rubens, Fabio Granata e Flavia Perina. Poi la schiera di intellettuali riuniti attorno alla fondazione Farefuturo come Alessandro Campi e Angelo Mellone. Pure le antiche correnti post-missine non ci sono più, squagliate all’interno del Pdl meglio del loro capo. Negli anni Fini ha pure perso controllo e feeling con le sacche del suo elettorato storico: sia quello nostalgico, sia quello cattolico, sia quello del law and order, sia quello che chiedeva il pugno duro contro l’immigrazione.
È rimasto ben poco a Fini: c’è il quotidiano Secolo d’Italia, guidato dalla fedele Perina; ci sono i teorici del neofinismo in salsa antiberlusconiana raccolti nel think tank Farefuturo; c’è il laboratorio politico di Generazione Italia, associazione lanciata da Fini in alternativa ai Promotori della Libertà voluti da Berlusconi e la Fondazione Alleanza nazionale, presieduta da Donato Lamorte che conserva l’archivio di An e ha in gestione il patrimonio immobiliare del vecchio partito. Un giornale, una fondazione, un laboratorio politico. Stop.

Fonte Il giornale sabato 17 aprile 2010

1 commento:

  1. Veramente un'uomo da non poter far affidamento...vende anzi si svende solo per le poltrone...si considera un politico ancora? E' solo un'opportunista per me e per qualcuno che lo credeva un'uomo tutto d'un pezzo...purtroppo dobbiamo ricrederci su di lui...ci dispiace ma purtroppo non c'è altra soluzione!!!!!

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