martedì 18 agosto 2009

Il Senatur cambia musica: «Attacco il fisco, non l’inno»

In questi giorni, gli appetiti leghisti per le regionali sono passati in secondo piano. Troppo rumorosi i mortaretti su gabbie salariali, dialetti, inno nazionale. Ma nell’agenda di Umberto Bossi l’appuntamento del 2010 è cerchiato col pennarello rosso. Il Carroccio si vanta di rappresentare il Nord ma non governa da nessuna parte. Ci aveva provato nel 2003 in Friuli, lanciando la sua Alessandra Guerra che recentemente ha mollato Bossi. Ma la Guerra era stata stracciata dal re del caffè Riccardo Illy. Per conquistare Trieste, l’anno scorso il centrodestra s’è dovuto affidare all’azzurro Renzo Tondo. Zero regioni in mano a Umberto, quindi, mentre l’Mpa di Raffaele Lombardo prende molti meno consensi ma ha le redini della sua terra-simbolo: la Sicilia.
Ecco perché Roberto Calderoli ha ribadito, anche da Ponte di Legno, che il Carroccio ha diritto a tre regioni: «Lo dicono i voti». Il sogno proibito è strappare Veneto e Lombardia, da quindici anni governate dagli azzurri Giancarlo Galan e Roberto Formigoni. Il Senatur giura che le vuole tutte e due e che fino all’ultimo non darà il via libera a Formigoni, anche se «si è comportato bene». Prima delle Europee, il Cavaliere aveva detto che va bene cedere Venezia a Bossi, ma solo se il Senatur avesse preso più voti del PdL. E per un soffio, nella corsa veneta verso Strasburgo, il centrodestra aveva mantenuto il primato. Però Galan è nervoso, si sente assediato, invoca un Popolo della Libertà più “nordista” per arginare i padani. Appena può tira le orecchie agli alleati e si dice più federalista di loro. Sa che la sfida per mantenere lo scettro di doge è difficile. In passato ha definito Bossi uno scorfano: «È il pesce più gustoso. Ma se lo tocchi ti fa male».
certezze padane
I leghisti, invece, si sentono il Veneto in tasca: alle ultime amministrative hanno conquistato a sorpresa le province di Belluno e Venezia, sfiorando il colpaccio a Rovigo. Hanno già fatto il nome per il dopo-Galan: il sindaco di Verona Flavio Tosi, che dalle colonne di Libero ha auspicato una corsa solitaria. A bordo campo, il Senatur sta facendo scaldare anche il ministro trevigiano Luca Zaia. Come dire che non gli mancano le alternative. Forse è anche per questo che, dalle parti del PdL, si sussurra di un Renato Brunetta pronto a buttarsi nella mischia. Ma alla fine il ministro potrebbe dedicarsi alla conquista di Venezia città.
Se nel Nordest il Carroccio sembra favorito, in Lombardia la missione è disperata. Uno scambio di ruoli tra Formigoni e il ministro dell’Interno Roberto Maroni è fantapolitica. Lo ha detto lo stesso Bossi, che però potrebbe alzare la voce su Milano - dove agita anche i nomi di Roberto Castelli, Giancarlo Giorgetti e Davide Boni - per sperare di convincere il premier o, più realisticamente, ripiegare sul Piemonte attualmente in mano al Pd (si parla del capogruppo alla Camera, il novarese Roberto Cota) e di un’altra regione da scippare al centrosinistra. La piccola Liguria, per esempio, che però è la casa del berlusconiano Claudio Scajola. Oppure la grande ma inespugnabile Emilia Romagna, dove la Lega è cresciuta e sogna di consolidare la tendenza prosciugando il bacino di voti della sinistra. Calderoli dice che il puzzle è meno complicato di quanto sembri. Forse per i leghisti, visto che l’eventuale ricollocazione di big come Formigoni e Galan sarebbe affare di Berlusconi. Per lui sarà una faticaccia, complicata dai problemi interni derivati dalla futura modifica ai vertici PdL.
premier equilibrista
Tra ambizioni da non frustrare e equilibri da mantenere, per il premier sarà difficile evitare spargimenti di sangue. In tutto questo deve vedersela con le sparate di Bossi. Che ieri ha corretto il tiro su Mameli: i giornalisti (che «andrebbero messi in galera»), per non parlare dei salari e delle gabbie salariali, «si sono inventati che la Lega è contro l’inno italiano. Invece noi siamo per aumentare i salari e chiediamo i salari su base territoriale legandoli al costo della vita. Gli operai non manifesteranno contro». Frasi che accontentano il presidente dei deputati del PdL, Fabrizio Chicchitto, e il ministro Gianfranco Rotondi. Non l’opposizione. L’Udc parla di frasi «che ledono l’unità nazionale» (Antonio Scalera, capogruppo centrista in regione Puglia), mentre l’Italia dei Valori dice che «Bossi arriva tardi» pure nella battaglia sui salari (Maurizio Zipponi) e Mariangela Bastico del Pd afferma: «Il solito repertorio ferragostano di Bossi colpisce due simboli dell’unità d’Italia come l’inno e la scuola pubblica». Nel centrodestra c’è chi è ancora scocciato col Senatur. Il sindaco di Roma Gianni Alemanno sbotta: «Siamo abituati ai temporali estivi, purtroppo», mentre Alessandra Mussolini stuzzica: «Togliamo a Bossi il permesso di soggiorno». Per Carlo Azeglio Ciampi, Umberto «vuole la secessione» e Clemente Mastella parla di Lega che «debilita la maggioranza». Tra tutti, l’oscar dell’arrabbiatura va all’ex ministro Adriana Poli Bortone, senatrice pugliese leader del movimento “Io Sud”. S’è appellata ai meridionali per chiedere di «boicottare i prodotti comprati in Padania».

http://www.libero-news.it/articles/view/566058

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