lunedì 13 dicembre 2010

La dittatura della minoranza usa media, istituzioni e piazza contro il Cav.



Domani la Camera e il Senato, con il voto sulle mozioni di sfiducia, faranno chiarezza su di una situazione politica in cui una sola cosa è palese: è in atto l’offensiva finale contro un’esperienza che ha avuto come principale protagonista Silvio Berlusconi. In nessun altro modo si spiega e si giustifica la crisi che si è aperta nel cuore del sistema politico e che ha avuto - come vittima - un esecutivo che ha ben operato nell’interesse del Paese, anche negli ultimi mesi, nonostante il contesto precario in cui è venuta a trovarsi la maggioranza, dopo la scissione di Fli.


Gli avvenimenti delle recenti settimane sono sconvolgenti. In Italia è in atto una dittatura della minoranza che si avvale d i tutti gli strumenti a sua disposizione: le istituzioni, i media, la piazza. Solo il fascismo potè avvalersi, prima della Marcia su Roma del 1922, di un sistema di sostegno e protezione tanto ampio, spregiudicato e risoluto da parte dei poteri forti.


Cominciamo dall’intervento dei pm nella vicenda dei "passaggi di campo" in vista del voto. La Costituzione parla chiaro: il parlamentare rappresenta la nazione, quindi non ha alcun vincolo di mandato. E il trasformismo è uno degli aspetti cruciali della politica, in tutti i Paesi. Da noi il fenomeno si è presentato, in tante fasi della nostra storia. Nell’Italia unitaria con questa parola venne contrassegnato il cambio, intervenuto intorno agli anni ’80 del XIX secolo, tra la destra storica di Quintino Sella e la sinistra liberale di Agostino De Pretis. E’ inaccettabile, allora e soprattutto, un modello distorto di valori: chi transita da destra a sinistra è un eroe, chi si sposta in senso contrario è un corrotto. Se venisse accolta la proposta del ministro Angelino Alfano (sterilizzare, domani, i voti dei parlamentari che hanno cambiato campo) il centro destra avrebbe tutto da guadagnare.


Perché è grave l’intervento – a senso unico, come il solito – della magistratura inquirente? Lo è perché si risolve in un atto intimidatorio nei confronti di persone già sottoposte a tante pressioni, che di fatto vengono condizionate nell’espressione del loro voto su di una questione importante (la crisi di governo in una fase tanto delicata nella vita del Paese) che può indurre a rivedere la propria posizione politica.


Ma c’è un aspetto ancora più inquietante: la contiguità, quasi la presunzione, per cui un voto a favore del centro destra evochi la corruzione, salvo prova contraria. Siamo ad un passo dai reati di natura politica. E poi in che cosa si qualifica la corruzione? In dazioni di denaro o anche nel riconoscimento di posti da ministro o sottosegretario? E’ una strada insidiosa che porta lontano. Prendiamo il caso di Fli. Tanti di coloro che hanno compiuto quella scelta oggi hanno un posto di maggiore responsabilità di prima: sono capi gruppo nelle Commissioni, ad esempio, con un ruolo di maggiore visibilità di quelli precedenti. Altri, magari, sono usciti dal governo. Ma questa è la logica della politica, che ha le sue regole, difficilmente inquadrabili in contesti di un moralismo peloso. Poi, sarebbe il caso di ricordarsi del passato. Nel 1998, quando il Prc di Fausto Bertinotti revocò l’appoggio al primo governo Prodi, Massimo D’Alema fu in grado di formare la compagine da lui presieduta (la sola guidata da un ex comunista e una delle più inutili della storia repubblicana) grazie al travaso di decine di parlamentari da destra a sinistra, sotto la regia di Francesco Cossiga e la guida di Clemente Mastella. I pm guardarono da un’altra parte. Oggi i passaggi – tranne il caso di Fli – non sono stati così massicci, ma il conto dei deputati che sono usciti dal Pdl non è irrilevante. In tali circostanze, i giornali non hanno fatto i titoli apparsi in questi giorni, evocando mercimoni e quant’altro.


Ma non c’è soltanto l’aspetto della magistratura, al solito braccio armato della sinistra. In queste settimane, il fronte antiberlusconiano ha fatto saltare tutte le regole. Dove si è mai visto un presidente della Camera che fonda un partito e lo dirige in prima persona, ne riunisce gli adepti nel suo studio a Montecitorio per decidere come mettere in difficoltà il governo. Ma procediamo con ordine. Dopo che Fli aveva deciso di far dimettere i propri rappresentati nel governo e in presenza di una mozione di sfiducia presentata da parte dell’opposizione – tutto ciò nel bel mezzo del dibattito sulla legge di stabilità – si era posto il problema di come organizzare il percorso parlamentare, in modo da affrontare tutte le questioni, senza creare soverchie difficoltà al Paese sul piano dei mercati internazionali. Grazie all’intervento del Capo dello Stato si era concordato che la discussione e il voto sulla sfiducia avvenissero contestualmente nelle due Camere il 13 e il 14 dicembre e che entro quelle date fosse approvata la legge di stabilità. Era quindi esplicito l’impegno per una eventuale crisi di natura parlamentare. Ciò nonostante, negli ultimi giorni, Fini e Fli hanno sollecitato le dimissioni preventive del governo (si è mai visto il presidente della Camera chiedere una crisi extraparlamentare?) arrivando persino a promettere – nel silenzio del Quirinale sempre attento a difendere le proprie prerogative su fronti diversi – il reincarico entro 72 ore.


Il quadro golpista lo completano quei manipoli di giovani che, da settimane, mettono a soqquadro le città col pretesto della lotta alla riforma Gelmini. Ormai, non hanno più rispetto di nulla: le istituzioni democratiche sono diventate il loro principale bersaglio. Presto arriveremo all’aggressione delle sedi dei partiti di maggioranza per ora soltanto oggetto di provocazioni a base di letame (che cosa altro potrebbero maneggiare vista la pochezza dei loro argomenti !). Per fortuna Silvio Berlusconi non è Luigi Facta, il premier che, quando i fascisti marcivano su Roma nell’ottobre del 1922, seppe solo dire: "Nutro fiducia".

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