sabato 5 novembre 2011

LE PRIVATIZZAZIONI DELLA SINISTRA

Avrete di certo sentito dire nelle varie trasmissioni politiche, nelle interviste ai TG dei vari politici di centrosinistra la frase in cui ricordavano  "le uniche vere privatizzazioni fatte in Italia le abbiamo fatte noi". Beh non si può' dire che la cosa non sia vera. Ma mi e' sempre sorto un dubbio,visto la situazione economica in cui ci troviamo  e conoscendo la classe politica di sinistra come sono state fatte e soprattutto, le cose vendute che vantaggi anno portato al nostro paese.
Per capire tutto questo ho voluto  cercare di riassumere la storia  delle privatizzazioni nel nostro paese.
Tutto comincia nell'estate del 1992 quando  banchieri, finanzieri e manager italiani, statunitensi e anglo-olandesi si incontrano sul panfilo della regina Elisabetta, Britannia, e discussero del processo di privatizzazioni.
Sembra ieri quel 2 giugno 1992, quando il «Britannia», panfilo di sua maestà britannica, arrivò di fronte a Civitavecchia con tutti i banchieri della City a bordo (Warburg e Barclay, Coopers Lybrand, Barino, eccetera) a intimare le condizioni della finanza anglo sullo smantellamento delle partecipazioni statali.
Una torta da 100 mila miliardi, come scrisse Massimo Gaggi, giornalista de Il Corriere che era a bordo.
Ci andò anche Mario Draghi, d'ora in poi intoccabile e non criticabile governatore di Bankitalia. Allora era direttore del Tesoro.
E dovette giustificarsene in audizione parlamentare: «dopo aver svolto l'introduzione me ne andai, e la nave partì senza di me…in questo modo evitai ogni possibile sospetto di commistione».
Il Britannia infatti prese il largo.
In acque internazionali, su suolo britannico, gli italiani invitati ascoltarono le condizioni.
Fatto è che Draghi, nell'introduzione, aveva lodato le privatizzazioni così: «uno strumento per limitare l'interferenza politica…un obbiettivo lodevole»: lo stesso programma de Il Corriere oggi. Allora,  il tecnocrate dettava la linea politica.
Bastava: poi scese.
Restarono, fra gli altri, Rainer Masera (un altro intoccabile), Giovanni Bazoli (Ambroveneto), Beniamino Andreatta: che sarebbe diventato di lì a poco ministro.
Nel governo Amato, al Bilancio; nel governo Ciampi agli Esteri, nel governo Prodi alla Difesa.
Un coccolone ha impedito al Beniamino tecnocratico di ricoprire altri ministeri, di perfezionare i danni.
Gli altri, purtroppo, sono vegeti e pronti.
A consegnare l'Italia a Goldman Sachs.
Nel settembre '93, alla privatizzazione della Comit fu incaricata di presiedere la Lehman Brothers; a quella del Credit, la Goldman Sachs.
In verità Franco Nobili, il precedente capo dell'IRI, aveva dato quest'ultimo incarico alla Merrill Lynch; ma a quel punto Nobili era in prigione in attesa di giudizio per Mani Pulite (solo il tempo necessario: poi sarà prosciolto con formula piena), e comandava Prodi.
Fu Prodi a dare l'incarico alla Goldman Sachs, «della quale era stato consulente fino a pochi giorni prima». (1)
La Merrill Lynch, nel giorni in cui aveva l'incarico, aveva offerto alla Deutsche Bank il pacchetto di Credito Italiano in proprietà all'IRI per 6 mila lire ad azione.
La Goldman Sachs fissò il valore del Credit a 2.075 lire per azione, meno della quotazione in Borsa, che era sulle 2.230 lire.
Insomma vendette per 2.700 miliardi qualcosa che ne valeva almeno 8 mila.
Persino l'Espresso si chiese: «è dunque un regalo quello che l'IRI sta facendo al mercato? Dal punto di vista patrimoniale è così».
Prodi ne ha fatti, di regali.
L'Italgel, 900 miliardi di fatturato, venduta per 437 alla Nestlé.
La Cirio-Bertolli-De Rica (CBD), 110 miliardi di fatturato, valutata sui 1.350 miliardi, venduta a una finanziaria lucana mai sentita, la FISVI di tale Francesco Lamiranda, «appoggiato dalla sinistra democristiana della Campania» secondo Il Corriere.
Era la sua unica credenziale, perché Lamiranda soldi non ne aveva.
Offrì dapprima 130 miliardi, poi 310.
Avrebbe pagato, chiarì, vendendo i pezzi dell'azienda che si offriva di comprare.
Ma restò l'unico acquirente.
Un'asta ci voleva: non fu fatta.
Bisognava vendere a questo Lamiranda.
Pietro Larizza, allora capo della UIL, descrisse l'operazione così: «la FISVI acquista senza avere ancora i soldi per pagare; per formare il capitale necessario, vende una parte di ciò che ha comprato; per quel che rimane cerca ancora soci finanziatori per completare l'acquisto».
Antonio Bassolino (un merito gli va riconosciuto) denunciò alla Procura di Napoli quell'affare: «c'è il pericolo che privatizzazioni fatte in questo modo espongano pezzi del nostro apparato produttivo alle mire speculative e affaristiche».
Era peggio di così.
Un perito di nome Renato Castaldo scoprì che dietro lo sconosciuto Lamiranda c'era l'Unilever, la multinazionale olandese.
«E' documentato che la Unilever», scriveva, ha «inviato offerte, condotto trattative dirette e indirette con l'IRI…predisponendo anche le clausole da inserire nel contratto» fra Prodi (IRI) e Lamiranda.
L'Unilever?
Prodi è stato consulente dell'Unilever dal '90 al '93, come consulente di vaglia, a decidere le acquisizioni.
Ecco dov'è il miele che Goldman Sachs cerca.
Ecco dov'è la linfa che trovano i grand commis nella Goldman Sachs.
L'ape cerca i fiori, i fiori si volgono all'ape.
E' una storia d'amore.
Non amano noi, però.
Ci vogliono spogliare, oggi come allora
NOTE
1) Massimo Pini, «I giorni dell'IRI, storie e misfatti da Beneduce a Prodi», Mondatori, 2000, pagina 238. Gran parte delle informazioni di questo articolo vengono dal libro di Pini.


Sarebbe utile ricordare a quei nostri cari parlamentari che in questi giorni anno qualche mal di pancia,quale e' stato e sarà' il risultato di consegnare il nostro paese alla sinistra italiana; quali danni anno procurato alla nostra economia. Mi vien da ridere (ma poi mica tanto) quando vedo con che ipocrisia,politici, intellettuali,sindacati si scandalizzino,si fasciano la testa per il fatto che il nostro governo ha accettato di far  monitorare i nostri impegni dagli economisti dell'F.M.I. quando loro anno svenduto la nostra migliore industria di stato ai poteri forti angloamericani e europei.
RICORDIAMO A NOI STESSI A TUTTI I NOSTRI AMICI,PARENTI, CONOSCENTI IN CHE GUAIO SI CACCEREBBE IL NOSTRO PAESE SE IL POTERE PASSASSE NELLE MANI DI QUESTI LOSCHI SIGNORI.  

Luca Marinoni

Fonte dell'articolo:http://www.fattisentire.org/modules.php?name=News&file=article&sid=1913 

  

Quel falso allarme del Fmi creato "ad arte" dai giornali

In questi giorni,in special modo dopo che il nostro governo a richiesto la supervisione del fondo monetario internazionale le opposizioniin generale, sostenute anche da giornali e da una certa parte del sindacato abbiano creato un po di confusione su cosa fara' nel nostro paese realmente l'fmi.
Per cercare di capire meglio cio' che succedera' vi voglio proporre un'interessante articolo dell'economista Giuseppe Pennisi esppesrto della materia che sul sito www.ilsussidiario.net quello che in realta' succede e succedera'.
Vi invito a leggerlo e a fare le vostre riflessioni sull'argomento. Luca Marinoni


I giornali di ieri 4 novembre e di oggi 5 novembre danno grande rilievo all’annuncio di un’imminente missione del Fondo monetario internazionale (Fmi) in Italia e la presentano come una campana a morte per il Governo in carica. Ho una certa dimestichezza con le istituzioni finanziarie internazionali dette “di Bretton Wods”, perché ho fatto la mia prima carriera in Banca Mondiale. La Banca mi ha “prestato” in alcune occasioni al Fondo per missioni e studi in cui erano di rilievo materie (come la spesa sociale o i programmi d’investimento a lungo termine) in cui ero particolarmente competente. Di converso, ho spesso lavorato, in compiti specificatamente di Banca mondiale, fianco a fianco con “cugini” del Fondo datici in prestito dallo Fmi. Le due istituzioni erano nello stesso edificio quando il 15 settembre 1968 presi servizio in Banca mondiale; tre anni dopo, il Fmi si fece una casa propria, ma di rimpetto a quella della Banca.
Chiariamo alcuni punti. In primo luogo, l’articolo IV dello Statuto del Fondo prevede almeno una missione l’anno in ciascun Paese e consultazioni. In particolare, un bozza di poderoso rapporto viene predisposta a Washington prima della missione, aggiornata durante la missione (di durata, di solito, di due settimane) e presentata al Consiglio d’amministrazione del Fondo (che si riunisce tre volte la settimana, a differenza di quello della Banca che ha di norma un sessione la settimana) unitamente a una “lettera d’intenti” (se del caso) in cui il Governo del Paese in questione esprime i propri obiettivi e programmi di politica economica. Naturalmente, le “consultazioni” con pertinente missione diventano più frequenti se il Paese ha seri problemi e chiede finanziamenti al Fondo. Tra il 1965 e il 1972 (smottamento e fine dell’area della sterlina) quasi ogni mese funzionari Fmi erano a Londra, tanto che presero in affitto una palazzina a Mayfair (che a volte utilizzai anche io nel quadro di missioni della Banca mondiale).
In secondo luogo, i prestiti Fmi riguardano principalmente il sostegno di disavanzi delle bilance dei pagamenti per sorreggere il cambio o facilitarne l’aggiustamento oppure la provvista di valuta estera per il riassetto strutturale. L’ultima volta che l’Italia via ha fatto ricorso è stato nella crisi valutaria della metà degli anni Settanta, parte a sua volta di un più vasto tsunami economico mondiale dopo il crollo del regime “di Bretton Woods” e il forte aumento dei prezzi del petrolio. Nella “congiuntura difficile” del 1964 si era pensato a chiedere il supporto finanziario del Fondo, ma tensioni all’interno della maggioranza fecero sì che si andò invece alla Banca mondiale per un prestito a rapida erogazione - la quinta linea di credito dell’istituto alla Cassa per il Mezzogiorno per l’acquisto di macchine utensili estere per Piccole e medie imprese (si era ancora in regime di restrizioni valutarie e controlli sui cambi).
La situazione della bilancia dei pagamenti dell’Italia ha esposto, negli ultimi 12 mesi, un disavanzo pari al 3,7% del Pil, un dato leggermente superiore a quelli segnati da Spagna e Austria, ma un terzo di quello della Grecia e non certo tale da indurre a pensare a una crisi. L’Italia ha indubbiamente esigenza di un profondo programma di riforme strutturali; il vincolo sono le leggi (soprattutto, l’Himalaya di norme da abolire e le poche nuove riforme da approvare) non la disponibilità di valuta.
In terzo luogo, la missione viene ufficialmente “su invito della Repubblica Italiana”. È possibile che si tratti di una mossa effettuata nella speranza di avere se non una benedizione almeno una pacca sulle spalle. È molto più probabile che l’invito nasconda una vigilanza più attenta, anche perché né la Commissione europea, né la Banca centrale europea dispongono di risorse umane ed esperienza analoghe a quelle del Fmi. In tal caso, l’esito potrebbe essere un addendum alla “lettera d’intenti” presentata a fine ottobre e misure più cogenti di quelle nel “maxi-emendamento” con annessi e connessi.
Il gran fumo che si sta facendo sulla visita dei Signori Fmi ha, però, un effetto non positivo: nasconde il vero anello mancante nel dibattito e nella “lettera d’intenti”: il debito pubblico. Ai titoli pari al 120% del Pil occorre aggiungere i debiti delle pubbliche amministrazioni nei confronti di imprese, famiglie e individui pari a un altro 6% del Pil, nonché parte del debito previdenziale (stimato a 150%-200% del Pil, ma in gran parte già incluso nel debito pubblico in senso stretto). Non possiamo consolidarlo in quanto siamo parte di un’unione monetaria. Non possiamo pulirlo con un’iniqua maxi inflazione ancora una volta a ragione delle regole dell’eurozona. Non possiamo liberarcene con una crescita vigorosa, perché il peso del fardello è uno degli elementi che ci frena. Non resta che sperare che al Fmi venga qualche buona idea.

P.S. Allego di seguito il link con le attivita dell'economista autore dell'articolo