martedì 22 marzo 2011

LIBIA/ . Pelanda: ecco il vero progetto della Francia che danneggia l'Italia

L’indecisione dell’America che per quasi 60 anni ha presidiato il Mediterraneo, stabilizzandolo sostanzialmente, sta lasciando spazio alle ambizioni neo-imperiali di Francia e Regno Unito. Questa è la vera ragione dell’attacco franco-inglese alla Libia, con timido e riluttante sostegno tecnico degli Stati Uniti, e non certo il motivo umanitario. L’Italia è in grave imbarazzo morale, politico ed economico. Dobbiamo riflettere su come uscire da questa situazione, intanto cercando di capirla.

La vera guerra - indiretta, non spaventatevi - è tra Francia e Italia. Non solo per il controllo delle risorse petrolifere della Libia, ma, soprattutto, per ottenere il mandato proconsolare dagli Stati Uniti, in ritirata, per la gestione del Mediterraneo. Sarkozy ne ha bisogno per: (a) recuperare consenso entro un elettorato nazionalista in vista delle elezioni presidenziali; (b) bilanciare con tale ruolo di potenza lo strapotere tedesco sulle questioni economiche e monetarie nell’Eurozona, cioè per poter finanziare in deficit il consenso in violazione delle euroregole; (c) ergersi a potenza protettrice degli arabi sunniti in alleanza privilegiata con l’Arabia Saudita che si sente sempre meno protetta dall’America.
Da tempo la Francia ha creato una base militare negli Emirati a protezione dei regimi arabi sunniti contro l’Iran sciita. Infatti sta collaborando con i sauditi per la repressione delle popolazioni sciite in rivolta negli Emirati stessi. Parigi, inoltre, ha il problema di contenere la crescente influenza geoeconomica della Cina nell’Africa francofona, obiettivo per cui ha bisogno del sostegno dei movimenti islamisti. Esattamente quelli, maggioritari in Cirenaica, che si sono ribellati al dominio delle tribù tripolitane alleate di Gheddafi cogliendo l’occasione dei moti popolari in Egitto e Tunisia.

Lo scopo finale è quello di portare il petrolio libico entro l’orbita dell’influenza saudita, con un sostanzioso assegno per Parigi se ci riesce. Conoscendo queste cose, Londra si è ingaggiata con la Francia proprio per non lasciarle campo libero, puntando ad obiettivi simili sia proconsolari sia di protettore degli arabi sunniti, questi rilevanti anche perché i loro capitali tengono in vita la piazza finanziaria di Londra.
 
Lo scenario è molto più articolato, ma quanto detto è sufficiente per almeno far sospettare ai lettori quanto sia ridicolo parlare di primavera araba - pur origine reale dei moti, poi strumentalizzati per giochi di potere - e di interventi umanitari. Prova ne è che la risoluzione Onu, il cui testo prevede azioni limitate, è stata violata da Francia e Regno Unito che stanno portando un attacco militare totale contro le tribù della Tripolitania alleate con Gheddafi a favore di quelle islamiste filo-saudite della Cirenaica, sostenuto dalle televisioni a diffusione panaraba controllate dagli Emirati (Al Jazeera e Al Arabjia).

Gli sviluppi della situazione descritta comportano gravi rischi di danni economici per l’Italia. Quello della perdita delle nostre concessioni petrolifere in Libia sarebbe il minore, pur pesante per l’Eni. Danni sistemici verrebbero dall’instabilità areale creata dall’azione francese che, se fuori controllo, ed è probabile, colpirebbe l’Algeria, regime laico che i sauditi vorrebbero rovesciare, e complicherebbe la stabilizzazione dell’Egitto, inducendo crisi dei rifornimenti energetici, del nostro export, problemi di immigrazione, ecc.
Al momento l’Italia ha deciso di assecondare Parigi per poterla ingabbiare. Ma sarà difficile e bisogna pensare a qualche azione più forte.

venerdì 18 marzo 2011

Passo falso sul nucleare del nostro governo La strategia dell'errore

Il governo ha deciso per una pausa di riflessione, ma si tratta di un passo falso. Qual è il motivo per il quale l'incidente in Giappone debba avere conseguenze per l'Italia?

Il governo ha deciso di prendersi una pausa di riflessione sul piano di costruzione di centrali nucleari in Italia. Si tratta di un passo falso. Riflessioni sul nucleare ne abbiamo fat­te già troppe. Il prezzo del­l’abbandono dell’atomo lo paghiamo da anni nelle no­­stre bollette. Si parla sem­pre del debito pubblico, e ie­ri l’Ocse ci ha ricordato il no­stro passivo pensionistico, ma se c’è un macigno che ti­ra il freno alla nostra cresci­ta economica, quello si chia­ma dipendenza dai combu­stibili fossili. Il primo er­rore del go­verno è, per così dire, for­male. Qual è il motivo logi­co per il qua­le l’incidente in Giappone debba avere conseguenze per l’Italia? C’è forse qual­cuno, tra chi ci governa, che, oggi più di ieri, si sia accorto che l’energia nu­cleare non è esente da ri­schi? Serviva forse il Giap­pone per ricordare al mon­do che i manufatti dell’uo­mo talvolta sono pericolo­si? Non si riesce bene a capi­re su cosa debba riflettere il governo.

Non certo sull’esi­genza di diversificare le no­stre fonti di approvvigiona­mento. E men che mai sul fatto che le tecnologie che sarebbero state adottate in Italia sono di generazione ben più sicura di quella coinvolta in Giappone. Se c’è un unico,misero vantag­gio che abbiamo verso il re­sto del mondo nuclearizza­to, è che sul nostro territorio non ci sono e non ci saran­no mai impianti di vecchia concezione. Un governo li­berale non adotta piani di politica industriale centra­lizzata, ma si limita a fornire le condizioni affinché l’in­dustria prosperi. Il nucleare resta una buona occasione. E il governo questo lo ha det­to e scritto in tutti i modi. Il timore è che, parafrasando Huygens,l’Italia sia diventa­ta piena di «teologi» che si comportano come «i por­ci »: «quando tiri la coda ad uno, gridano tutti». Insom­ma, il pensiero all’ammas­so.

E il governo non ha il co­raggio di andarci contro. Un secondo fatale errore, ovviamente collegato al pri­mo, riguarda il nostro futu­ro energeti­co. Il petrolio e i suoi simili, sia per l’incre­mento della domanda nei Paesi emergenti, sia per la ridu­zi­one delle ri­serve a buon prezzo, sono destinati a co­stare caro. Le fonti rinnova­bili, per ora, sono costo­s issime. Qualcuno forse si di­mentica che gli incentivi previsti dall’Italia costeran­no, per i prossimi 20 anni, 90 miliardi di euro. E a pa­garli sono tutti gli italiani con le loro bollette. I tede­schi pag­ano per la sola com­ponente rinnovabile un so­vrapprezzo superiore al co­sto di un kilowatt in Russia. Insomma, facciamola bre­ve. È impensabile credere che questo governo stia ra­dicalmente cambiando la sua politica energetica. Se così fosse, sarebbe un disa­stro: alla Pecoraro Scanio, per intenderci. Se invece è un modo per passare la nottata, il rischio di far perdere ancora tem­po al piano nucleare è co­munque troppo elevato.

http://www.ilgiornale.it/interni/leditoriale_la_strategia_dellerrore/18-03-2011/articolo-id=512241-page=0-
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giovedì 10 marzo 2011

Riformare la giustizia non è reato

Fiato alle trombe evvai coll’antiberlusconismo. La riforma della giustizia è stata appena approvata dal Consiglio dei ministri e già si sprecano le critiche dell’opposizione - tra cui legittimamente non si può più non annoverare l’Anm – che gridano allo scandalo e al complotto di Berlusconi per salvare solo ed esclusivamente se stesso. Come faccia, non si sa, ma stando alle critiche, contro il ddl di Alfano si prospetta il solito fuoco di fila.
“Il referendum metterà fine allo scempio” arringa Di Pietro dal suo scranno in Parlamento. "La riforma è incompatibile con la Costituzione”, grida il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro. “E’ una riforma scritta sotto dettatura” afferma un redivivo Diliberto. “La riforma? Sembra mossa dal risentimento del premier”, chiosa la Finocchiaro, tanto per aggiungere un tocco di sensibilità femminile alle critiche. “E’ una riforma punitiva, volta solo a ridurre il potere dei magistrati”, profetizza Franceschini. E chi più ne ha più ne metta.
Certo, anche augurando la più florida fortuna politica al premier dubitiamo che gli effetti della riforma della giustizia possano in qualche modo beneficiare Berlusconi. Così come, leggendo l’articolato approvato dal Cdm, possiamo pensare che forse vi sia un qualche intento punitivo nei confronti dei magistrati laddove si prevede – e aggiungiamo, finalmente – una imputabilità di responsabilità al giudice che sbaglia. Ma da qui a dire che la scelta del Guardasigilli non abbia avuto lo scopo di mettere al centro l’interesse generale dei cittadini vittime della mala giustizia ma si configuri come una ben studiata vendetta per il Cav. francamente ci sembra troppo.
Siamo disposti anche a fare autocritica, se necessario, ma chiediamo ai più accesi detrattori della riforma: si può davvero considerare punitiva una legge che fa pagare per una responsabilità durante l’esercizio delle funzioni quei protagonisti della tribuna giudiziaria che rovinano la vita di molti privati cittadini? Da che parte dovrebbe stare un grande partito politico di massa come il Pd, dalla parte di una casta di funzionari pubblici o dei cittadini?
Sarebbe bastato ascoltare alcune conversazioni che Massimo D’Alema teneva a via Veneto con l’ambasciatore americano a Roma, fedelmente riportate da Wilileaks, in cui il líder máximo non mancava occasione per dichiarare che la più grande anomalia italiana sono i magistrati per creare attorno ad una riforma necessaria un’aria più respirabile e collaborativa. Ma già sappiamo che non sarà così. Perché l’anomalia denunciata da D’Alema ce la dobbiamo tenere solo perché c’è Berlusconi alla guida del paese.
Stando così le cose temiamo che il problema dell’opposizione non sia certo la mancanza di un leader o di una qualche linea politica da tenere quanto una distanza oramai incolmabile tra il loro interesse e quello dei cittadini, che poi – a detta loro stranamente – decidono di non votarli.

http://www.loccidentale.it/node/103331

Libia, una voce contro: l'Italia non segua gli Usa

Di Ida Magli

Ci impongono l’immigrazione e vogliono farci prendere posizione militare a ogni costo, perché c’è un piano per sopraffare noi e l’Europa. E' l'ultima possibilità per continuare a esistere.

Non ci sono prove, non ci sono do­cumenti, è vero; ma è la logica che lo dice: l’islamismo sta per darci l’assalto finale. La logica lo diceva già da molti anni, quando si poteva ancora parlare di previ­sioni più che di fatti, mentre i poli­tici, i leader, anche quelli religio­si, lo negavano. Stiamo dialogando in maniera molto costruttiva con tutti i Paesi mediterranei, ripetevano a chiunque avanzasse qualche dubbio, e non ci sarà nessun conflitto perché la volontà che prevale è quella dell’integrazione, della tolleranza, del rispetto.
L’assurda idea che essere bagnati dalle acque del Mediterraneo significasse essere simili è il frutto di quella sciagurata teoria che è la geopolitica, un’invenzione che dobbiamo all’amico di Hitler, Karl Haushofer, e che induce a tremendi errori perché guarda ai territori come se non vi fossero i popoli ad abitarli. Tutto il progetto a lungo accarezzato dall’Europa per coinvolgere il Nord del-l’Africa, in quanto bagnato dal Mediterraneo, nella propria area economico-politica è andato in frantumi in questi giorni proprio perché erano stati ignorati i popoli. Popoli di cui l’Occidente si ostina a sottovalutare la forza culturale islamica, la fede che li sostiene e che li guida, l’abisso storico e psicologico che li separa da noi.
Non si pensi che il terremoto attuale non sia stato preparato e fatto scoppiare in base a un piano preciso finalizzato alla sopraffazione dell’Europa. Per questo si è sviluppato in brevissima successione dall’Egitto alla Libia senza che a tutt’oggi si sappia con precisione chi abbia dato fuoco alla miccia, quali siano le forze in campo, che cosa si prefiggano i ribelli. Il caos a poca distanza da noi, dall’Italia soprattutto, significa soltanto una cosa: che si vuole costringere l’Europa, e l’Italia, a prendere posizione. E che questa posizione, guerra o non guerra, giustificherà il trasferimento di migliaia di africani, di musulmani, nel nostro territorio. Lo scopo è questo; tutto il resto - libertà, diritti umani, democrazia, petrolio - costituisce soltanto la solita occidentalizzazione del problema, visto che l’Occidente, l’America soprattutto, ritiene di potersi ancora servire di tali fragili bandiere per mettere i piedi in casa altrui.
Per l’Italia e per l’Europa, però, questa è l’ultima possibilità di affermare la propria volontà di continuare ad esistere. Bisogna cambiare del tutto l’atteggiamento tenuto fino adesso di superiore benevolenza, di comprensione, di tolleranza, di solidarietà. Il primo e unico obbligo dei governanti è quello di proteggere il proprio popolo e i suoi beni. Quindi l’integrità del territorio, della cultura, dell’identità, di tutto ciò che un popolo possiede. Qui non si tratta di uno «scontro di civiltà», come spesso si è detto; quella che ci viene imposta con l’immigrazione è l’astuzia di una strategia che non ha bisogno di «scontri», che sfrutta i valori di cui ci facciamo vanto per vincerci senza armi, esclusivamente con la propria presenza.
L’Italia non può consentire, dunque, ad azioni di guerra, da chiunque siano decise, perché provocherebbero gravissime azioni di guerra presso di noi e disordini e stragi di lunghissima durata nei Paesi africani. Nessun interesse economico può giustificare un tale scenario. Ma soprattutto non ci salverebbero dall’immigrazione che ne è l’unico scopo. 
Il governo deve dare subito il segnale che a nessuno sarà permesso di superare i nostri confini non lasciando apparire al di qua del limite neanche l’ombra di una barca e sospendere il trattato di Schengen, senza timore di reazioni negative da parte dell’Ue, perché è l’Italia ad avere il coltello dalla parte del manico: non può esistere un’Europa senza l’Italia. Dove porrebbe i propri confini? Quale credibilità avrebbe il concetto stesso di un’Europa unita senza l’Italia che ne ha tracciato con i Romani il profilo e la storia fondando Parigi, Londra, York, Strasburgo, che ne ha creato le lingue e il diritto, che ne ha irradiato la religione e custodisce la sede del Papato? Abbiamo il diritto e il dovere di salvare tutto questo.