sabato 31 luglio 2010

Piano triennale per il lavoro, le azioni della crisi e le priorità nella ripresa


Le azioni della crisi e le priorità nella ripresa. Queste le linee strategiche del piano triennale del lavoro, presentato oggi a Palazzo Chigi, dal ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, 'Liberare il lavoro per liberare i lavori'. "Il piano triennale, in coerenza con i valori e la visione del Libro Bianco sul futuro del modello sociale - spiega il ministro del Lavoro - vuole concorrere a promuovere crescita economica con occupazione aggiuntiva e di qualità attraverso: l'emersione dell'economia informale e un'efficace azione di contrasto dei lavori totalmente irregolari; la maggiore produttività del lavoro attraverso l'adattamento reciproco delle esigenze di lavoratori e imprese nella contrattazione di prossimità, le forme bilaterali di indirizzo e gestione dei servizi al lavoro, l'incremento delle retribuzioni collegato a risultati e utili della impresa; l'occupabilità delle persone attraverso lo sviluppo delle competenze richieste dal mercato del lavoro, con particolare attenzione ai giovani e alle donne".
"Gli obiettivi di una società attiva e di un'economia maggiormente competitiva - sostiene - convergono nell'innalzamento del patrimonio di professionalità e competenze. Nella possibilità per ciascuna persona, per tutte le persone, di accedere a un lavoro dignitoso e di mantenerlo o, auspicabilmente, migliorarlo attraverso percorsi di formazione e di riqualificazione professionale. L'inclusione nel mercato del lavoro costituisce carattere fondamentale di quella economia sociale di mercato che il governo si è impegnato a promuovere".


"In Italia - continua Sacconi - si è registrata per decenni una cronica bassa occupazione in proporzione alla crescita economica che è stata testimoniata soprattutto dalla abnorme dimensione, nel confronto con i Paesi competitori, del lavoro sommerso e degli investimenti in tecnologia dei processi produttivi finalizzati a contenere il bisogno di persone al lavoro. Donne e giovani sono risultati i più penalizzati da questa situazione come indicano i confronti internazionali sui tassi di partecipazione e occupazione".

venerdì 30 luglio 2010

IL PUNTO DI VISTA:la rottura


Qualche giorno fa nel gruppo da me gestito insieme con l'amico Antonio Agus scrissi un'articolo parlando del problema delle continue contrapposizioni tra' Fini e Berlusconi chiedendo al presidente Berlusconi di fare chiarezza,perche' molti di noi che il PDL l'hanno votato erano stufi di queste continue contrapposizioni.
Bene ieri l'ufficio di presidenza del Pdl ha deciso finalmente di porre fine ad una contrapposizione che durava da troppo tempo,sfiduciando il presidente Fini e la sua area.

Ritengo la decisione giusta perche' fa chiarezza in un partito nato e creato per governare con dei principi e delle idee che nulla hanno a che fare con le idee pur leggittime che l'On. Fini e i suoi uomini hanno posto in essere in questi mesi.

Quello che ancora non capisco,e' perche' l'On. Fini decise di aderire e co-fondare un partito in cui si riconosce avendo lui ed i sui uomini idee politiche diametralmente diverse a quelle del Pdl.

Difatti nella sua storia politica Fini e' riuscito ha passare da argomenti totalmente di destra ad idee e progetti piu' compatibili al progressismo di sinistra.

Ritengo inoltre che quello che e' successo ieri,ovvero l'espulsione politica di Fini e della sua area sarebbe dovuto avvenire qualche mese fa in quanto questo rimandare,non ha fatto che indebolire molto nel paese il Pdl.

E' anche vero che la contrapposizione interna al Pdl e' figlia di un'organizzazione che se a livello nazionale funziona abbastanza bene in quanto e' gestita direttamente dal presidente Berlusconi e dall'ufficio di presidenza,ma che a livello periferico andrebbe organizzata in modo diverso.

Il problema e' che a livello periferico,come alcuni amici mi hanno fatto spesso notare,e' gestito da personaggi che agiscono spesso piu' come Cesari locali,piuttosto che in modo democratico non favorendo giovani che sono il futuro di
questo partito.Io credo che su questo punto il presidente Berlusconi e l'ufficio di presidenza dovrebbero lavorare per cambiare questo andazzo.Sia chiaro che questo e' un problema non solo presente nel Pdl, ma essendo il Pdl il piu' grande partito del nostro paese,su questo punto devrebbe fare da apripista colmando questo gap.

Tornando alla rottura nel Pdl, io credo che a questo punto le opzioni che ci troviamo
davanti,sono secondo il mio punto di vista due.
Primo,credo che entro la fine di questo anno ci sara' la definitiva scissione della pattuglia finiana (la formazione di gruppi parlamentari separati non ne e' che l'inizio);
che Fini e i suoi se dovessero esserci lezioni anticipate creerebbero una coalizione, un partito o un nuovo polo con l'Udc di Casini e con l'Api di Rutelli;
credo che nel caso di elezioni anticipate il pdl si alleera con la Destra di Storace e continuera' l'alleanza con la lega.

Secondo credo inoltre che nell'immediato,dopo l'approvazione della finanziaria,si cerchera' di portare a termine l'approvazione del federalismo fiscale; credo che verra definitivamente arenato il ddl sulle intercettazioni provvedimento che dopo le ultime modifiche non piace piu' a nessuno,specialmente al premier e che si tentera' di portare all'approvazione il provvedimento sul processo breve.

Per il resto del programma dipendera' molto da come la pattuglia finiana approccera' ai vari provvedimenti che il governo presentera'.

Aspetto le vostre opinioni su tutto questo.

Luca Marinoni

mercoledì 28 luglio 2010

PUNTO DI VISTA:La bagarre Fini-Berlusconi

Cari amici,care amiche,oggi mi e'capitato di leggere una mail del mio amico Antonio Agus co-amministratore con me del gruppo Goveno Berlusconi:il popolo riconosce il buon governo.
In quel messaggio Antonio portava all'attenzione un problema in cui credo ci riconosciamo in molti e cioe' il fatto che siamo stufi delle continue liti tra' fin iani ed il resto del partito. Non e piu' possibile accettare che un partito che ha la maggioranza dei consensi faccia opposizione a se stesso. Questo sta' portanndo all'immobilita' dell'attivita' politica e lo stop a quelle riforme di cui tutti si sono rimpiti la bocca ma che nella sostanza al momento attuale sono sono solo sulla carta.
Cio' che spesso i nostri politici dimenticano e' che gli abbiamo eletti e dato la nostra fiducia su due cose sostanziali;una era l'unita' del partito, l'altra era e dovrebbe essere un programma che vada nel senso dell'ammoodernamento del nostro stato,ovvero delle riforme come quella costituzionale, quella fiscale e soprattutto
quella federale. Bene sinora a parte ed in parte il federalismo fiscale nessuna delle altre riforme sono state portate avanti.
Per quanto poi riguarda l'unita' del partito sta' andando sempre di male in peggio.
E' sotto gli occhi di tutti le continue liti interne al partito che stanno portando sempre di piu' all'indebolimento dello stesso. E' innaccettabile continuare in questo modo; e' ora di un chiarimento definitivo tra' Fini e Berlusconi e' ora che questa maggioranza cosi' ampia faccia quello per cui e' stata eletta.
Se cosi' non succedesse serebbe soltanto il fallimento totale del progetto PDL e si darebbe il via libera ad una sinistra che non aspetta altro.

Luca Marinoni

P.S. Questo aritocolo e' l'inizio di una nuova rubrica settimanale dal nome PUNTO DI VISTA che troverete anche in formato audio nel mio blog La Discussione.

lunedì 26 luglio 2010

E' la Storia stessa a smentire la propaganda anti-berlusconiana


Il berlusconismo è finito. Ciclicamente se ne parla. Anche in questi giorni si leggono commenti al riguardo. “Il Foglio” addirittura è già oltre, e si interroga sulla rimozione in atto, sulla cancellazione delle tracce del berlusconismo da parte dei berlusconiani pentiti. Se Veltroni poté dire di non essere mai stato comunista, il cammino è già tracciato. Lasciamo stare la questione odierna, e volgiamo lo sguardo indietro nel tempo. Come è cominciato il berlusconismo?

A questa domanda si può dare una risposta ovvia: fine del 1993, inizi del 1994. Un contenitore spiegherebbe tutto: Forza Italia. Naturalmente bisogna fare i conti con il partito del sospetto.

Forza Italia l’ha creata la mafia, sprovvista di sponda politica. Con questi schemi preconfezionati non si arriva da nessuna parte. Servono ad alimentare un mito: la sconfitta immeritata delle forze del progresso alle elezioni del 1994.

Verso la fine del 1993, dopo le votazioni in alcuni grandi comuni italiani, tra cui Roma, dove Francesco Rutelli ebbe la meglio sul “fascista” Gianfranco Fini (eh, la memoria!), il gioco sembrava chiaro: la sinistra avrebbe trionfato in maniera sorprendente. Da lì nacque l’iperbole della “gioiosa macchina da guerra” guidata da Occhetto. Il prode Achille tutto aveva previsto: tranne il berlusconismo (e naturalmente Silvio Berlusconi). L’uomo di Arcore si piazzò in mezzo nell’arena politica, e dal nulla riportò una clamorosa vittoria. Fortuna? Astuzia? Poteri occulti? Intervento divino? Saltiamo la fantasia, e proviamo a fare seriemente i conti con la storia.

Proviamoci ricorrendo ad un agile e sapiente libretto di Ernesto Galli della Loggia: “Tre giorni della storia d’Italia” (il Mulino, pag. 161, 10 euro). Nel corso del Novecento tre giornate hanno cambiato in maniera radicale il corso degli eventi della storia italiana: il 28 ottobre 1922, quando Mussolini prese il potere inaugurando il ventennale regime fascista; il 18 aprile 1948, quando Alcide De Gasperi sconfisse il Fronte Popolare composto da comunisti e socialisti; e il 27 marzo 1994, quando Silvio Berlusconi vinse le elezioni politiche. Già questo solo dato, che il 27 marzo 1994 possa essere considerata una data storicamente determinante per la storia italiana, farà rizzare i capelli in testa a non pochi commentatori della storiografia e della pubblicistica progressista italiana (cioè la stragrande maggioranza delle forze in campo). Non a caso le tesi di Galli della Loggia hanno suscitato scarsissimo dibattito. Il sospetto è che dentro il libro ci sia qualcosa, soprattutto in riferimento a Berlusconi, davvero di “politicamente scorretto”.

Ecco le parole che aprono il saggio: «Nell’Europa di oggi è più facile, in generale, parlare di Hitler che di Berlusconi: i rischi sono assai minori. Non credo di esagerare». Lo storico porta un esempio concreto: sostenere che «l’ascesa di Berlusconi e il mantenimento del suo potere sono stati assai favoriti dalle contraddizioni delle inchieste di “Mani Pulite” e dalla raffica delle inchieste a suo carico, non solo suscita, specie in certi ambienti, una diffusa incredulità, ma si rischia all’istante di essere sospettati di “stare dalla parte di Berlusconi”, incorrendo con ciò in un’immediata scomunica». Il vizio della scomunica è specialità ancora molto in voga in una determinata specie intellettuale.

Diciamolo subito: Galli della Loggia tutto è fuorché un berlusconiano. Da storico cerca di capire cosa non ha funzionato, a livello sistemico, nella lunga gestione del potere da parte dei democristiani, determinando un crollo così drammatico e rovinoso. Innanzitutto c’è stata la mancanza/impossibilità di una alternativa politica, a causa della presenza del più forte partito comunista del mondo, ad eccezione di quello sovietico. Inoltre la politica italiana, attraverso le partecipazioni statali, è stata proprietaria diretta di un terzo dell’economia dell’intero paese.

A partire dagli anni Sessanta la politica ha iniziato il decollo senza freni della spesa pubblica, sperimentando pratiche sempre più invasive di consociativismo. Nella Prima Repubblica, dice Galli della Loggia, «la politica diviene erogatrice, amministratrice e intermediaria di imponenti flussi finanziari dalla natura così varia e a così tanti livelli istituzionali da sfuggire ad ogni realistica possibilità di controllo». Tale sistema fu distrutto dall’intervento, mirato ad annientare alcuni settori, e a salvarne altri (il gruppo dirigente in blocco del vecchio Partito Comunista, la sinistra democristiana), da parte dei magistrati.

Commenta Galli: «L’intervento della magistratura non appariva forse lo strumento più idoneo». E poi lo storico ha un sospetto: possibile che il malaffare italiano, dato l’indirizzo assunto dalle inchieste giudiziarie, si concentrasse tutto a Milano e in poche altre città? Di ciò vi sono «ragionevoli perplessità». E la carcerazione preventiva? L’enfatizzazione mediatica delle inchieste? La stampa amica delle procure? Le esternazioni televisive dei magistrati che costrinsero il capo del governo Giuliano Amato a rimangiarsi il decreto Conso? Altri dubbi e perplessità.

La delegittimazione dei partiti governativi montò violenta, alimentata da un clima di anti-politica, indirizzata da alcuni giornali (“la Repubblica” in testa) e basata sulla rispolverata «questione morale» di Berlinguer e della diversità comunista. Il Pds (più o meno il vecchio Pci all’ombra della quercia del nuovo simbolo) per Galli «nutriva la fondata speranza, quindi, di poter essere il beneficiario finale del terremoto in corso». E il sogno svanì alle elezioni del 27-28 marzo 1994, quando iniziarono ad arrivare i primi risultati elettorali: Berlusconi aveva vinto.

Senza Berlusconi, dice Galli, «e senza le sue scelte strategiche assai difficilmente si sarebbe formato in Italia un consistente polo di destra, e dunque ben difficilmente avrebbe messo radici un sistema bipolare in grado di assicurare l’alternativa al potere».

Tutti ricordano il potere di Berlusconi, il “regime berlusconiano”, dal 1994 ad oggi: ma in quest’arco di tempo c’è stato anche un governo del “ribaltone” (Dini), uno di Prodi (al quale è succeduto D’Alema e successivamente Amato, per completare la legislatura), poi un altro brevissimo interregno di Prodi. Ma nonostante tutto ciò - l’evidenza dei fatti storici - ancora non siamo arrivati al nocciolo della questione. E Galli non si sottrae.

Perché una parte consistente degli italiani votò Berlusconi, nonostante la demonizzazione fattane dagli avversari? «L’Italia ostile alla sinistra serrò i ranghi in tutte le sue varie componenti - da quella conservatrice, a quella reazionaria, a quella moderata, ma anche a quella riformista socialdemocratica». Nel momento dello sbandamento e nell’approssimarsi dell’imminente sconfitta, quest’Italia trovò un capo credibile e ottimista, al quale affidare il proprio mandato, e grazie al quale fu condotta alla vittoria. Fidandosi della propria esperienza - dice Galli - molti italiani non prestarono fede al fatto che la corruzione politica fosse esclusiva di alcuni partiti, e ritennero parziale e politicizzato l’operato della magistratura. E il fatto che Antonio Di Pietro, il simbolo di Mani Pulite, abbia deciso di scendere in politica, non è servito a dissipare, anzi ha rafforzato il dubbio emerso tra la fine del 1993 e i primi mesi del 1994. Così come ad alcuni Mussolini apparve, per giustificare la sconfitta, l’autobiografia nazionale, lo stesso discorso vale per Berlusconi: è l’autobiografia malata della nazione (il virus fu lanciato a mezzo televisivo, per avere successivamente ricaduta politica).

Ma Galli della Loggia sgombera anche questa ulteriore fantasia. Il nodo del vuoto morale venuto al pettine alla fine degli anni Ottanta, non è colpa della televisione (e quindi di Berlusconi), ma di una profonda trasformazione sociale. «Quello che si chiama “berlusconismo” non è il frutto di una qualche oscura degenerazione morale che ha colpito una parte del popolo italiano».

Insomma, per chiudere: la propaganda anti-berlusconiana è sempre gravida e generosa di prole. La storiografia però, se non parte da pregiudizi limitanti, anche se in forma di esile trattazione manda al macero d’un colpo quintali di carta straccia.

sabato 24 luglio 2010

Paolo Romani in pole per lo Sviluppo. Cicchitto: "Persona competente"

"La prossima settimana sarà nominato il nuovo ministro dello Sviluppo Economico". Lo ha annunciato il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, nel corso della conferenza stampa conclusiva del vertice italo-russo con il presidente della Federazione russa, Dmitrij Medvedev "Alla buon'ora - ha commentato il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani - la sollecitazione del capo dello Stato credo abbia avuto un certo effetto, anche se per adesso solo verbale". Proprio oggi infatti il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, durante la cerimonia del Ventaglio al Quirinale, aveva sottolineato che ''il governo non può sottrarsi alla decisione''. Berlusconi ha assunto l'interim del ministero dello Sviluppo Economico dopo le dimissioni del ministro Scajola e ora dopo il suo annuncio è tornato in pista il nome del viceministro alle Comunicazioni, Paolo Romani, come candidato più accreditato alla guida del dicastero di via Veneto. ''E' persona sicuramente molto competente in questa materia'', ha detto Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera del Pdl. Il premier oggi ha parlato anche di Fiat, rispondendo a una domanda dei giornalisti sull'intenzione espressa ieri dall'amministratore delegato Sergio Marchionne di produrre una monovolume in Serbia. "In ogni libera economia ogni gruppo industriale è libero di collocare le proprie produzioni dove meglio crede - ha detto Berlusconi - ma per quanto riguarda la Fiat spero che questo non accada a scapito della produzione e degli addetti italiani". Riguardo al bilaterale Italia-Russia, durato più di un'ora e mezza, ''con Medvedev abbiamo ribadito la convenienza che il G8 venga mantenuto in questa formula perché - ha spiegato - oltre a prendere decisioni importanti ha anche l'effetto di far conoscere i leader più importanti ad altri leader che ancora non li conoscevano''. Il premier ha quindi confermato l'auspicio di Italia e Russia che israeliani e palestinesi possano dare inizio a colloqui diretti. "Chi non lo vorrebbe soprattutto dopo l'incidente di Gaza?" ha osservato. Nel corso della conferenza stampa il Cavaliere ha poi sottolineato che "nei primi 4 mesi del 2010 c'è stato un incremento degli interscambi tra Italia e Russia del 41%". Berlusconi ha affrontato anche la questione dei visti (la risoluzione dei problemi dei visti tra i Paesi europei e la Federazione Russa può essere ''propedeutica a una vera collaborazione''), ha fatto sapere che il governo russo e quello italiano collaboreranno per risolvere le difficoltà dell'acciaieria di Piombino rilevate dal gruppo russo Severstal ed ha annunciato anche che ''il 2011 sarà l'anno della cultura e della lingua italiana in Russia e della cultura e della lingua russa in Italia''. Il presidente russo da parte sua ha avuto parole di elogio per il Cavaliere. ''Berlusconi è il più autorevole - ha detto - quello con esperienze nel G8, io sto attento alle sue espressioni, lui ha visto tanti eventi nel corso di questi anni''. Medvedev ha poi ribadito l'importanza del G8 e del G20 che ''sono l'occasione per parlare tra i grandi leader internazionali. Ogni anno poi ci sono nuovi capi di Stato e il G8 permette di potere discutere tra i leader, per questo è un appuntamento importante''. ''Con il presidente del Consiglio italiano abbiamo parlato anche dell'Onu e del suo Consiglio di sicurezza - ha riferito poi Medvedev - L'Onu deve cambiare in base ai cambiamenti che ci sono nel mondo, ci deve essere una modernizzazione. Su questo c'è un ampio accordo anche se non sempre coincidono le opinioni su come cambiare''. Quanto alla crisi, ''le nostre economie la stanno superando, il premier Berlusconi mi ha detto che c'è una certa crescita in Italia ma anche in Russia c'è un miglioramento. Noi - fa sapere - contiamo di avere alla fine dell'anno una crescita del 5%''. Al termine dell'incontro Berlusconi si sono fermati brevemente al bar Zucca in Galleria Vittorio Emanuele per un aperitivo per poi proseguire alla volta del Duomo di Milano e della Chiesa di Santa Maria delle Grazie di Milano per visitare il Cenacolo di Leonardo da Vinci. In programma anche un pranzo ad Arcore e la visita a Villa Gernetto dove sorgerà l'università del Pensiero Liberale. In serata il presidente della Federazione russa proseguirà il suo viaggio in Italia alla volta di Cervinia per un weekend sulle piste da sci.