giovedì 29 ottobre 2009

Caprara: «È nascosto a Mosca il registro segreto dei magistrati del Pci»

Massimo Caprara, ex segretario di Togliatti, rivela nel corso di un processo: l’elenco delle toghe affiliate veniva regolarmente trasmesso in Urss

Il Pci aveva un registro segreto dei magistrati iscritti al partito. Questo elenco, riservatissimo, è oggi a Mosca. La rivelazione arriva da una fonte autorevolissima: Massimo Caprara, segretario del leader comunista Palmiro Togliatti e membro del Comitato centrale del partito dal ’43 al ’69. Nei giorni scorsi Caprara ha raccontato quel che sapeva a Trento in un processo per diffamazione nei confronti di Giancarlo Lehner, giornalista e saggista, querelato dagli eredi di Generoso Petrella, uno dei giudici, secondo Caprara, clandestinamente affiliati al Pci.

«I magistrati - spiega in aula Caprara - potevano certo iscriversi al Pci, ma questo non era noto a nessuno. Non comparivano assolutamente. Non solo perché loro non lo volevano, ma anche perché non era opportuno da parte del Partito Comunista». Il metodo di avvicinamento era però semplice: «Ci si iscriveva nelle sezioni, il segretario di sezione faceva nota di persona o per lettera» a chi di dovere. Ovvero ad Edoardo D’Onofrio, uno dei massimi dirigenti del partito e di quel livello occulto del Pci chiamato «lavoro riservato». «L’iscrizione era controllata dall’Ufficio quadri del Pci, cioè dall’onorevole D’Onofrio. E il Partito Comunista, quindi, delegava D’Onofrio a controllare quelle liste che si chiamavano fiches blindate, perché erano note soltanto a lui e soprattutto più di lui le conosceva l’onorevole Pietro Secchia, vicesegretario del partito».

Insomma, il Pci aveva una sua colonna nella magistratura: le tanto evocate toghe rosse. Ma l’appartenenza non doveva essere divulgata, evidentemente poteva essere gestita ad altissimo livello. «Io - mette le mani avanti Caprara - quel registro non l’ho mai visto di persona, ma lavorando nelle segreteria di Togliatti ne ero venuto a conoscenza. Il registro non annoverava solo magistrati, ma anche militari e scienziati. Tra questi ultimi, anche Bruno Pontecorvo, poi trasferitosi in Urss». In questo modo il Pci conosceva le forze di cui disponeva nella società e poteva in qualche modo costruire uno Stato nello Stato. «Per conoscere se un magistrato fosse o no iscritto al Pci, bisognerebbe consultare quel registro. Io non avevo bisogno di vederlo, perché i magistrati importanti li conoscevo direttamente. Ricordo in particolare due grandi magistrati che sono stati importanti anche per il dopo Togliatti: erano evidentemente iscritti al Pci in modo non pubblico», anche se Caprara non ha fra le mani prove documentali. I loro nomi? «Uno era il Procuratore generale di Genova Carmelo Spagnolo. E a Roma, Roberto Peretti Griva, in Cassazione. Furono grandi frequentatori del Ministero della giustizia e quindi anche grandi sostenitori del Pci».

Dopo Secchia e D’Onofrio, una terza persona di spicco del Pci si occupò dei giudici, ma questa volta il segretario di Togliatti non fa nomi, pur tracciando un identikit molto dettagliato: «È stato l’uomo che ha fatto fucilare Mussolini ed ha sottratto a lui e ai suoi addetti a Como il famoso oro di Dongo». Chi ha in mente Caprara? Lui nega ogni riferimento a Walter Audisio e Aldo Lampredi, protagonisti ufficiali della morte del Duce. Il grande registro, secondo Caprara, non c’è più. Almeno in Italia. Però quei nomi venivano annotati e trasmessi a Mosca. «Quello che esiste oggi - è la conclusione - esiste solo a Mosca. Sarebbe consultabile solo se lo volesse Putin».

venerdì 23 ottobre 2009

Ecco il Cavaliere che ti aspetti

Silvio Berlusconi ancora una volta ha dimostrato di essere più politico di tanti politici. L’uomo che ama presentarsi come un praticante del Palazzo, in realtà ieri ha colto al volo i segnali che gli arrivavano da più parti e segnatamente da Libero. Da giorni infatti il nostro giornale, prima con gli articoli di Mario Sechi e poi con un mio editoriale, segnalava il malcontento di una parte importante del ceto (...)
(...) produttivo per il mancato taglio delle tasse. Da giorni sostenevamo la necessità di ripensare la politica di rigore fin qui tenuta dall’esecutivo, mettendo in cantiere misure che potessero sostenere la ripresa economica e soprattutto ridare fiducia al popolo delle partite Iva e alle famiglie. La nostra non era una critica all’operato del ministro Tremonti, che ha lavorato bene e al quale va dato atto di aver saputo reggere il timone in un grave momento di burrasca finanziaria internazionale, ma uno sprone per trovare una via che consentisse di aiutare i molti soggetti economici i quali oggi si trovano in difficoltà.
Facendo il semplice lavoro di cronisti ci siamo infatti resi conto che la crisi è tutt’altro che dietro le spalle come con un po’ di entusiasmo alcuni sostengono. Basta verificare il numero di aziende costrette a portare i libri in tribunale e controllare gli andamenti delle vendite dei grandi supermercati (i quali registrano un calo di acquisto delle carni rosse a favore di quelle più economiche, come il pollo) per capire che la recessione morde ancora. Una responsabilità rilevante in quel che accade ce l’hanno certamente le banche, che continuano a tener stretti i cordoni della borsa e penalizzano soprattutto le piccole aziende e le attività commerciali. Bene dunque ha fatto Tremonti a pressare gli istituti di credito, ma purtroppo ad oggi non molto è cambiato e siccome non si può costringere i banchieri a prestare il denaro per legge - pena la nostra trasformazione in uno Stato socialista - non resta che la via della leva fiscale.
Il governo conta di incassare molto dalla lotta agli evasori e ancor di più confida di poter avere grazie allo scudo fiscale. Invece di usare le risorse così ottenute per ridurre il debito pubblico è il momento di riconoscere che soggetti economici come le piccole imprese e le famiglie hanno una priorità. Non si tratta di aiutare la grande industria, che in questo Paese ha già tanto avuto, ma gli artigiani e le aziendine, ovvero quel complesso sistema che per anni abbiamo celebrato ma mai sostenuto.
Berlusconi, come dicevo, ha capito che il suo governo non può tradire le promesse formulate negli anni scorsi e ancor meno può approfittare della pazienza della base che lo ha portato per ben tre volte al successo. È per questo che ieri ha deciso di annunciare la riduzione dell’Irap, scartata in un primo momento, e interventi sulle imposte che gravano sulle persone fisiche.
Lode dunque all’intuito politico del premier. Ci permettiamo solo un piccolo suggerimento. Giacché abbiamo esperienza di quanto poi sia difficile tradurre in pratica le buone intenzioni, gli consigliamo di non lasciar trascorrere troppo tempo dall’annuncio all’applicazione. C’è bisogno che il provvedimento non venga diluito nel tempo, ma sia rapido e tangibile. Solo così la scossa potrà stimolare l’economia. E, sia detto con realismo, anche il consenso. Per farlo non basta solo il fiuto del neofita, serve anche il coraggio di chi possiede carisma.

domenica 18 ottobre 2009

LE BR VOGLIONO FARE TRIS

Ci mancavano pure le Brigate rosse. Non bastavano gli insulti quotidiani a Berlusconi, ci si mette pure il partito armato che vuol fare tris minacciando anche Bossi e Fini. Non so se il volantino recapitato al Riformista sia opera di terroristi o mitomani: non sono un esperto nel decrittare documenti con la stella a cinque punte, non mi avventuro in ipotesi. So solo che al pari di Giampaolo Pansa, il quale lo ha già scritto su queste pagine, questo clima che avvelena la politica non mi piace. Mi preoccupa l’odio straripante da certi ambienti che, a differenza di quanto dicono, non fanno nulla per contenerlo. In particolare mi ha colpito un giovane dirigente del Pd, che pochi giorni fa su Facebook (...)
(...) ha pubblicato un messaggio per cercare qualcuno che piantasse un colpo in testa al Cavaliere. Anzi: più di lui mi è parsa sorprendente la reazione di uno dei candidati alla segreteria del Partito democratico, quel Pierluigi Bersani che molti giudicano un tipo ragionevole. Durante la scorsa puntata di Annozero, richiesto di un commento sul caso, l’uomo di punta della sinistra ha liquidato il fatto come una ragazzata. «È di Vignola» ha detto, lasciando intendere che non c’è da dare eccessivo peso a chi proviene dal paese delle ciliegie. La tendenza a minimizzare, liquidando tutto come una banalità, mi ha riportato alla memoria l’atteggiamento dei dirigenti comunisti negli anni Settanta, di fronte all’incrudelirsi della lotta politica. Anche allora, e per lungo tempo, il Pci non volle capire e soprattutto non volle intervenire per fermare i giovani compagni che, fuoriusciti dalla Fgci, avrebbero poi dato vita ai comunisti combattenti. Franceschini, Paroli, Gallinari sono nomi che dovrebbero far riflettere, perché dalle parole passarono alle armi.
Ora non vorrei che la storia si ripetesse. Rivedo lo stesso clima di scontro, lo stesso odio per l’avversario. Nel mirino non c’è solo il presidente del consiglio, ma tutto ciò che gli ruota intorno: i suoi alleati e collaboratori. Non sono esenti i giornalisti, che hanno il solo torto di non armare la penna contro il premier come una certa sinistra vorrebbe. Posso dare testimonianza diretta: mi è capitato più volte d’essere aggredito a sangue freddo per strada, con insulti e minacce, senza alcun rispetto non per me, che ho spalle larghe per sopportare le infamie, ma per chi stava con me, in qualche caso bambini. In un’arena televisiva come quella di Santoro, per avere espresso le mie opinioni, in una pausa pubblicitaria sono stato oggetto di urla e offese. Immagino che per molti di noi tra poco compariranno le liste di proscrizione sui muri, come capitava negli anni Settanta. E temo di sapere come poi tutto ciò andrà a finire. Se qualcuno ha dubbi basta che apra certi siti, dove insieme a affettuosità tipo «servo» e «leccaculo» c’è anche chi augura la morte, e non per malattia, al cronista che non si piega ai suoi voleri.
Di fronte a un simile imbarbarimento viene da chiedersi cosa fanno i dirigenti del Pd e i loro intellettuali di riferimento. Dopo aver caricato i toni, urlato al regime e denunciato pericoli per la libertà, si comporteranno come nel passato, disconoscendo le origini della violenza da loro stessi generata? Fingeranno anche stavolta, come allora, di non avere responsabilità? Probabilmente se ne laveranno le mani. Ma sono certo che nulla potrà alla fine lavare le loro coscienze.

mercoledì 14 ottobre 2009

Class Action pubblica, il decreto domani in Cdm


Arriva la class action pubblica. Il decreto legislativo che da' attuazione alle norme previste dalla cosiddetta riforma Brunetta sulla pubblica amministrazione, sara' portato domani in Consiglio dei ministri dove e' previsto un esame preliminare del testo.
"Al fine di ripristinare - si legge nella bozza del decreto legislativo - il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione di un servizio, i titolari di interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralita' di utenti e consumatori possono agire in giudizio, con le modalita' stabilite dal presente decreto, nei confronti delle amministrazioni pubbliche". Sono fatte salve le Autorithy, la presidenza del Consiglio e gli organi costituzionali. Le misure entreranno in vigore a partire dal primo gennaio 2010 (con alcune eccezioni), ma in ogni caso "il ricorso - si legge nel testo - non consente di ottenere il risarcimento del danno cagionato".

Ponte sullo Stretto, Berlusconi: ''Entro l'anno al via i lavori''

Berlusconi: "Lavori da dicembre". E' polemica

ROMA - "A dicembre e gennaio cominceremo un'altra infrastruttura, che è il ponte sullo stretto". Lo ha detto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi nel corso del suo intervento al convegno a Villa Madama, alla conferenza di presentazione dei piani di sviluppo di Malpensa e Fiumicino.
"Il governo ha ancora davanti a se un lungo tratto per essere operativo", ha aggiunto il premier . "Il nostro Paese si deve svegliare da un lungo sonno che lo ha portato anche ad avere condizioni di bilanci negative". L'Italia, aveva detto precedentemente il presidente del Consiglio, ha un "gap infrastrutturale, della logistica della mobilità" che rappresenta una vera propria "strettoia" che ha finora "impedito di sfruttare a pieno le ricchezze" del nostro Paese che potrebbero attirare ancora più turisti e investitori. Un gap, ha concluso, che noi dobbiamo "superare".Ed e' polemica dopo le dichiarazioni di Berlusconi. Francantonio Genovese, segretario regionale del Pd in Sicilia, respinge l'idea della ripresa dei lavori per la costruzione del ponte sullo stretto di Messina, sostenendo che "la Sicilia, e il Sud hanno altre priorità". "Parlare poi della costruzione del ponte di Messina all'indomani di una tragedia ambientale con trenta morti e centinaia di sfollati è, tra l'altro, offensivo", secondo il pensiero di Genovese, perché "il nostro territorio ha bisogno di risorse per ripristinare i danni dell'abusivismo e per costruire infrastrutture veramente indispensabili". E le priorità, per Genovese, sono "strade e ferrovie che garantiscano la crescita delle nostre terre, non progetti faraonici, di dubbia attuazione, vere e proprie cattedrali nel deserto utili solo alla celebrazione di un governo del fare che in realtà sa fare solo annunci". "Berlusconi vuole sperperare i soldi dei cittadini italiani mentre la vera priorità dell'Italia e del Sud, come ha dimostrato la recente tragedia di Messina sono le infrastrutture da sempre inesistenti, come la messa in sicurezza del territorio e la lotta al dissesto, le ferrovie e gli acquedotti". Lo ha dichiarato il presidente dei Verdi Angelo Bonelli.
"Sta per partire un'opera faraonica contro il buon senso, assolutamente non prioritaria per il Sud che in realtà ha bisogno di ben altre infrastrutture". Il presidente dell' Idv al Senato, Felice Belisario critica l'annuncio di Berlusconi e chiede che le risorse destinate al Ponte siano indirizzate "al risanamento e alla messa in sicurezza del territorio al fine di evitare un'altra sciagura" come quella avvenuta il 2 ottobre a Messina, sostenendo che "il resto è solamente mera propaganda. "Si tratta - sostiene Belisario - di una vera e propria cattedrale nel deserto che collegherà il nulla con il nulla se il Governo non provvederà subito a varare misure volte a potenziare tutte le infrastrutture che interessano lo Stretto, a partire dalla rete ferroviaria e da quella stradale. Tra l'altro, in una zona ad alto rischio idrogeologico, già devastata dal terremoto e dalla recente alluvione, è quanto meno poco prudente realizzare un'opera così imponente".
CANTIERE PRINCIPALE ENTRO 2010 - Per la realizzazione del ponte sullo Stretto di Messina "entro il 2010 parte il cantiere principale". Lo ha detto Pietro Ciucci, amministratore delegato della società Stretto di Messina e commissario per la realizzazione dell'opera, a margine della presentazione dei piani di sviluppo di Adr e Sea per la quale il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha parlato anche del progetto del ponte. Prima dell'apertura del cantiere principale partono altri "lavori propedeutici" ha detto Ciucci, spiegando per esempio che verrà spostata la linea ferroviaria a Villa San Giovanni. "Lavori di intesa con Ferrovie che verranno fatti da Stretto di Messina". Ad oggi, ha detto Ciucci, "siamo entrati nella fase finale della progettazione esecutiva: l'obiettivo è impegnativo ma ci siamo impegnati. Per questa prima fase ci sono circa 30 milioni di euro disponibili, e sono previste altre opere a terra anche in Sicilia". Dei sei miliardi di investimento, "un terzo riguarda opere a terra che si possono anticipare".

lunedì 12 ottobre 2009

La Carfagna dice basta al burqa nelle scuole


La condizione delle donne immigrate in Italia preoccupa e allarma a causa di tradizioni, culture e modi di trattare le donne che spesso sono incompatibili con l’Italia, il ministro per le pari opportunità, Mara Carfagna che ha proposto di vietare burqa e niqab, ossia i due tipi di velo usati dalle donne islamiche, nelle scuole. La Carfagna è decisa a discutere la sua proposta con il ministro dell'Interno, Roberto Maroni e dell'Istruzione, Mariastella Gelmini. “Sono assolutamente favorevole – ha affermato Carfagna a margine della presentazione dei dati del numero verde 'mai più sola’ contro la violenza alle donne immigrate – ad una legge che vieti in Italia il burqa e il niqab, simboli di sottomissione della donna e ostacolo ad una vera politica di integrazione. Non in quanto simboli religiosi, come, per esempio, il velo, bensì per le storie che nascondono, storie di donne cui vengono negati diritti fondamentali come l'istruzione o la possibilità di lavorare, storie di violenza e di sopraffazione”. “Di questo – ha annunciato Carfagna – parlerò anche con i colleghi Roberto Maroni e Mariastella Gelmini. Perchè, per esempio, vietare burqa e niqab nelle scuole, luogo primario di integrazione ed emancipazione, può essere un segnale importante”.

domenica 11 ottobre 2009

Giustizia, Berlusconi: ''Separare le carriere. In Francia e Inghilterra magistrati sono sotto al governo''


Benevento, 11 ott. (Adnkronos) - "Non credo che si possa consentire di rivolgere infamie, improperi, insulti e volgarità" di fronte "ad un premier eletto direttamente dal popolo, bisogna cambiare questa situazione".

A sottolinearlo è il premier Silvio Berlusconi (nella foto) nel suo intervento alla Festa della Libertà di Benevento alla luce delle polemiche di questi giorni sul Lodo Mondadori e quello Alfano. Il Cavaliere cita gli ultimi sondaggi in suo possesso: "Nei miei confronti c'è il 68% dei consensi".
Dal palco del Palatedeschi di Benevento, il Cavaliere punta il dito soprattutto sulla stampa estera, che con le sue "accuse assurde" contro il premier danneggia l'immagine del paese. "Da qualche mese a questa parte", dice, ci sono "alcune assurde e ridicole accuse e critiche che fanno male e danneggiano l'immagine del paese. Anzi se mi consentite il termine, si tratta di accuse che sputtanano il presidente del Consiglio, il paese e la nostra democrazia".
Poi, tornando a parlare del Lodo Alfano dopo la bocciatura da parte della Consulta, il premier sottolinea: "Non ho mai detto una parola fuori luogo su questa vicenda". "In moltissime democrazie - ricorda il presidente del Consiglio - non c'è bisogno di questa norma perché in Francia e in Inghilterra i pm non sono autonomi e indipendenti nel più alto arbitrio ma sono sottoposti al ministero della Giustizia e all'esecutivo".
"Quando il presidente del Consiglio si rivolge alla magistratura perché gli hanno dato del 'buffone' - spiega Berlusconi - la magistratura dice che è stata una goliardata. Anche per questo occorre chiarire i rapporti tra giudici e istituzioni"
E sulla Corte Costituzionale aggiunge: "Non si puo' continuare così. Abbiamo una Corte Costituzionale che ha tenuto un comportamento assolutamente sleale verso il Parlamento. Non si può andare avanti con una Consulta come questa con 11 giudici di sinistra. Non è un organo di garanzia ma un organo politico". Il premier invita quindi a cambiare l'attuale situazione e a "evitare che si replichino" cose del genere.
E ancora sulla giustizia, conferma: "Abbiamo allo studio, ma è pronta, la riforma del processo penale con la separazione dei pm dai giudici. Si tratta di una riforma fondamentale". Ribadendo che le intercettazioni vanno bene solo per reati gravi, spiega: "Abbiamo una modifica che è già stata presentata in Parlamento e riguarda le intercettazioni telefoniche che sono una patologia solo italiana".
Il capo del governo ricorda quanto accaduto nel '94, quando cadde il suo primo governo in seguito a un avviso di garanzia al premier. "Stanno cercando di fare ora la stessa cosa - dice - Ma state sereni su questo: non accadrà, non c'e' nessun dubbio. Vi do la più ampia garanzia che porteremo a termine il mandato che ci è stato affidato dagli italiani".
"Venendo qui e leggendo i giornali - ha proseguito il presidente del Consiglio - mi sono chiesto cosa davvero sia cambiato dal '93 quando l'intervento della magistratura fece fuori tutti i partiti e tutti i protagonisti di quei partiti furono costretti a lasciare la politica e qualcuno anche l'Italia. Mi sono risposto che oggi di diverso c'è il fatto che abbiamo il consenso del 68% degli italiani e che c'è il Popolo della libertà. Insomma, di diverso ci siamo noi".
''Ci troviamo di fronte ad una opposizione che non si sa più cosa sia. Il Partito democratico? Sono ancora i vecchi comunisti di sempre!", taglia corto il Cavaliere mentre a Roma si sta svolgendo la convenzione del Partito democratico. "Non hanno nei propri valori quello della democrazia. Non credono nella democrazia", rincara la dose il premier, ''pensano che il popolo sia un bue narcotizzato dalle tv e che il governo debba essere portato avanti da elite".
Quindi il Cavaliere annuncia un piano per realizzare carceri con 20 mila nuovi posti. "Mercoledì, insieme al ministro Alfano prepareremo un piano contro il sovraffollamento delle carceri che consentirà di avere 20 mila nuovi posti".
"Siamo consapevoli che se vogliamo sviluppare il paese dobbiamo sviluppare il nostro Sud", sottolinea poi il premier, precisando che il piano per il Mezzogiorno messo a punto dal governo non è ancora pronto. "Abbiamo allo studio un piano decennale - spiega - che si baserà su quattro pilastri, a partire dalla lotta alla criminalità organizzata. Non siamo pronti e quindi e non possiamo ancora presentarlo. C'è stata una lunga discussione nell'ultimo Cdm e continuano gli incontri".
"Stiamo lavorando, abbiamo fatto molte cose positive...", dice ancora il capo del governo chiudendo la prima Festa della libertà al palasport di Benevento. Il premier rivendica i risultati ottenuti fino ad ora dal suo governo: dall'emergenza rifiuti a Napoli al terremoto in Abruzzo alla politica estera e a quella contro gli immigrati clandestini.
Dalla platea una donna comincia a gridare invitando il governo ad andare via. Il premier replica dal palco: "Non seguiamo il cattivo esempio di chi grida 'fuori il governo da Palazzo Chigi'. Non rispondiamo, siamo comprensivi perchè siamo dei liberali!".
"Io santo subito? no aspettiamo...", scherza poi Berlusconi replicando a qualcuno che dalla platea dell'assise sannita del Pdl grida: 'Santo subito!'.

venerdì 9 ottobre 2009

La Corte Costituzionale ha allontanato ancora di più cittadini e istituzioni

La sentenza della Corte Costituzionale sul Lodo Alfano è una sentenza storica: non tanto per i contenuti giuridici, quanto per le conseguenze nella società civile prima ancora che in quella politica. È una sentenza destinata ad accrescere il divario fra i cittadini e le istituzioni, fra il paese reale e il paese legale, tra l’uomo della strada e il cortigiano di palazzo. La maggiore conseguenza di questa strabiliante sentenza sarà proprio questa: l’aumento della sfiducia degli italiani nei confronti della magistratura, in primo luogo, e di gran parte delle istituzioni, in secondo luogo.
La fiducia nella magistratura, secondo i dati Eurispes, ha subito negli ultimi anni un forte calo di consensi, tanto che oggi oltre la metà degli italiani (il 53,7%) dichiara di non fidarsi affatto della magistratura. Nel 2004 (l’anno, lo ricordiamo per inciso, del giudizio della Corte Costituzionale sul Lodo Schifani) il 52,4% degli italiani, una cifra superiore quindi alla maggioranza assoluta, dichiarava di avere fiducia nella magistratura, mentre oggi sono il 44, 4 % degli italiani è dello stesso avviso.
Con la sentenza di ieri la Corte Costituzionale ha smentito se stessa. Nel 2004, infatti, essa dichiarò esplicitamente che la tutela delle più alte cariche dello Stato nello svolgimento delle loro funzioni era da considerarsi un «interesse apprezzabile che può essere tutelato in armonia con i principi fondamentali dello Stato di diritto». Con tale espressione, a ben vedere, si sottintendeva il richiamo ai principi della separazione dei poteri e della stabilità ed efficienza degli organi costituzionali lasciando intendere che norme come quelle di tutela di fronte a conflitti fra poteri diversi (ché di questo, nella sostanza, si tratta nel caso di azioni giudiziarie contro le alte cariche dello Stato) fossero norme attuative e quindi adottabili con legge ordinaria. La Corte Costituzionale, quindi, non contestò l’uso dello strumento della legge ordinaria rispetto alla legge costituzionale, che pure era stato un problema sollevato dall’ordinanza di rinvio del Tribunale di Milano, ma si limitò a fornire indicazioni precise per rimuovere, con l’intervento legislativo, taluni individuati limiti di illegittimità costituzionale: indicazioni tutte accolte nella stesura del Lodo Alfano.
Adesso la Corte Costituzionale è tornata sui suoi passi, rigettando il testo della legge riscritto secondo le sue stesse indicazioni e, proprio per ciò, avallato dal Capo dello Stato. Evidentemente qualche cosa è cambiato. È cambiata parzialmente la composizione della Corte e quindi sono cambiati gli equilibri politici interni di questo organo dello Stato chiamato istituzionalmente, fra l’altro, a sindacare la conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione e a risolvere i conflitti fra i poteri dello Stato. Ma è mai possibile che un mutamento nella composizione di questo organo possa produrre effetti di questo tipo? Che possa, in altre parole, portare alla sconfessione di se stesso?
Per il cittadino comune – ma non solo per lui – ciò è inammissibile. La Corte Costituzionale, per le stesse funzioni che è chiamata a svolgere, non è un tribunale come gli altri. Le sue decisioni costituiscono precedenti ai quali essa stessa deve uniformarsi, pena la perdita di ogni credibilità. La Corte Costituzionale dovrebbe essere il simbolo della certezza del diritto. Se essa si smentisce perde questa caratteristica. Ecco perché la decisione di ieri è grave. È, in un certo senso, il requiem per lo Stato di diritto. Ed ecco perché, come si diceva all’inizio, l’effetto più dirompente e grave della decisione non sarà tanto (o solo) di natura giuridica o politica quanto (e soprattutto) di natura sociale: l’aumento del discredito della magistratura e la crescita esponenziale del distacco dei cittadini da gran parte delle istituzioni. E, per quanto riguarda la Corte Costituzionale, si diffonderà, ahimé, sempre più, l’idea che essa non garantisca affatto lo Stato di diritto, ma sia soltanto un sinedrio di privilegiati promossi a quel posto per motivi prevalentemente politici.

Cdm, sì alla riforma Brunetta anti-fannulloni


Roma - Via libera definitivo del consiglio dei ministri alla riforma Brunetta della pubblica amministrazione. Il provvedimento prevede la lotta ai fannulloni, con taglio allo stipendio e licenziamenti, ma anche premi al merito che non saranno più distribuiti a tutti, ma andranno solo agli statali più produttivi.
La riforma La riforma, che coinvolge tutte le amministrazioni pubbliche, prevede l’attribuzione selettiva degli incentivi economici e di carriera. Il decreto stabilisce che non più di un quarto dei dipendenti di ciascuna amministrazione potrà beneficiare del trattamento accessorio nella misura massima prevista dal contratto; non più della metà potrà goderne in misura ridotta al 50%; ai lavoratori meno meritevoli non sarà corrisposto alcun incentivo.
Come nel privato Il decreto si propone di dare inizio a un processo di convergenza con il settore privato. Infatti il testo prevede che il dirigente sia il responsabile della gestione delle risorse umane e della qualità e quantità del prodotto delle pubbliche amministrazioni. Viene stabilito anche il principio della inderogabilità della legge da parte della contrattazione. Viene rafforzata l’Aran, agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni. Vengono infine fissate nuove procedure per l’accesso alla dirigenza. Nel decreto infatti si stabilisce che l’accesso alla qualifica di prima fascia nelle amministrazioni statali e negli enti pubblici non economici avviene per concorso pubblico per titoli ed esami, indetto dalle singole amministrazioni per il 50% dei posti disponibili annualmente.
Certificati medici falsi Sanzioni anche di carattere penale sono previste in caso di falsi certificati medici, nei confronti del dipendente per il quale scatta il licenziamento con l’obbligo del risarcimento del danno, ma anche del medico eventualmente corresponsabile, che sarà radiato dall’albo e licenziato.
Licenziamento Tra le fattispecie individuate per il licenziamento ci sono il ripetersi di assenze ingiustificate, il rifiuto senza motivi del trasferimento, la presentazione di documenti falsi per l’assunzione o per essere promossi. Ma anche: comportamenti aggressivi e molesti e condanna per reati contro la pubblica amministrazione e il prolungato rendimento insufficiente.
Dirigenti più responsabili A loro il compito di valutare la performance di ciascun dipendente. Saranno sanzionati se non svolgeranno efficacemente il proprio lavoro. Per i nuovi dirigenti previsti sei mesi di formazione all’estero. Previste anche nuove procedure di accesso alla dirigenza per concorso per titoli ed esami indetto dalle singole amministrazioni.
Mobilità anche obbligatoria Se necessario i dipendenti dovranno spostarsi dove è più necessario anche se non sono d’accordo.
Pagella ai dipendenti Nasce un’Autorità per rafforzare la valutazione e la trasparenza nelle amministrazioni. Ogni anno la commissione predisporrà una graduatoria di performance delle singole amministrazioni in base a cui la contrattazione ripartirà le risorse.

Lodo Alfano e magistratura

Il lodo Alfano non era anticostituzionale perché chiedeva solo una sospensione dei processi, nessuna immunità, e rispettava le indicazioni che la precedente corte costituzionale aveva dato al momento della bocciatura dell'allora lodo Schifani. Un giudice che fece parte di quella corte ha dichiarato che "la corte costituzionale, con questa sentenza, ha contraddetto sè stessa".In questo caso specifico i giudici di nomina presidenziale (5 in tutto) erano tutti appartenenti a correnti di sinistra e difatti hanno bocciato il lodo.Anche anche uno dei giudici che già fece parte della corte che bocciò il lodo schifani, dando poi delle direttive per la sua correzzione e comunque dichiarando che era sufficiente una legge ordinaria, questa volta, evidentemente sotto la pressione della sinistra, ha dichiarato la legge anticostituzionale.A mio parere, le persone che hanno esultato per questa bocciatura, hanno ben poco da esultare. Per l'ennesima volta si è dimostrata la faziosità di certa magistratura italiana, persino nel caso della corte.Oggi è stato colpito Silvio Berlusconi, la persona più odiata da quella parte di italiani che non vuole cambiare il paese e cammina con i paraocchi, ma il fatto è grave e pericoloso.Il Governo ha scelto di non scendere in piazza e io mi auguro che non serva.Noi non siamo come quelli che scendono a manifestare con ogni scusa, quelli che vivono contestando e criticando.Noi preferiamo lavorare, studiare e mandare avanti il paese. Se scendiamo in piazza significa che la questione è grave, quindi se non è necessario, meglio.L'importante è che Di Pietro e compagnia non dimentichino che siamo sempre pronti a difendere il nostro voto e le nostre idee e, se non se ne fosse accorto, che siamo molti più di loro!

(Di Antonio Agus)

mercoledì 7 ottobre 2009

Alcune riflessioni sulla decisione della corte

La bocciatura del lodo Alfano pongono alcune riflessioni che voglio fare;
per prima cosa la sentenza della consulta rispetto alla precedente decisione della corte sembra smentire se stessa; infatti nella precedente decisione infatti l'alta corte non aveva accennato al fatto che questa legge dovesse essere costituzionale e non ordinaria,cosa che ha fatto oggi con questa sentenza.

A me sembra che questa decisione sia piu' politica che tecnica e ritengo quindi che questa corte non sia piu' costituzionale perché smentendo la sua giurisprudenza ha emesso una decisione politica.

E' chiaro che Il governo che ha preso i voti degli elettori deve continuare a fare il suo lavoro: occuparsi dei problemi degli italiani e continuare a governare a fare tutte le riforme compresa la riforma della giustizia ma cosi' necessaria; la cosa piu' fastidiosa e' che ora il premier oltre ad affrontare i molti problemi che il paese ha dovra' anche dediarsi a dei processi di cui si poteva occupare tranquillamente alla fine del suo mandato.
Confido nel fatto che essendo Berlusconi capace di gestire molte cose sara' in grado di fare ache questo ed e' compito di tutti noi che lo soteniamo,di far sentire al presidente tutto il nostro appoggio.

Quindi concludo dicendo Forza Silvio siamo tutti con te!!!!

La Corte costituzionale, i giudici e le competenze


Roma (Ign) - Sono quindici e nominati per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative


Roma, 6 ott. (Ign) - La Corte costituzionale è un Organo costituzionale previsto dalla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948. Le norme sul suo funzionamento sono contenute nella Costituzione, nella legge costituzionale n. 1 del 1948 e nella legge n. 87 del 1953, nonché in altre norme integrative e nel regolamento generale di cui la stessa Corte è dotata.


Come recita l'art. 135 comma 1 della Costituzione, la Consulta ècomposta di quindici giudici nominati per un terzo dal presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. E'
Seduti a una tavola rotonda, secondo l'art. 134 della Costituzione, i giudici sono chiamati a giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra Regioni; sulle accuse promosse contro il presidente della Repubblica, a norma della Costituzione e sul giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo. Inoltre spetta alla Corte giudicare l'ammissibilità delle richieste di referendum abrogativo.
In questo momento è composta dal presidente Francesco Amirante, 76 anni, eletto dalla Corte di Cassazione nel novembre 2001. Alla sua sinistra siede il vicepresidente Ugo de Siervo, 67 anni, eletto dal Parlamento nell’aprile 2002. Continuando in senso orario, troviamo Paolo Maddalena, 73 anni, eletto dalla Corte dei Conti nel luglio 2002. Accanto a lui siede Alfio Finocchiaro, 74 anni, è stato eletto dalla Corte di Cassazione nel novembre 2002. Alfonso Quaranta, 73 anni, è stato eletto nel dicembre 2003 dal Consiglio di Stato. Franco Gallo, 72 anni, è stato nominato dal presidente della Repubblica nel settembre 2004 ed è seduto vicino a Luigi Mazzella, 77 anni, eletto dal Parlamento nel giugno 2005. Gaetano Silvestri ha 65 anni ed è stato eletto dal Parlamento nel giugno 2005. Accanto a lui siede Sabino Cassese, 74 anni, nominato dal capo di Stato a novembre del 2005. Anche Maria Rita Saulle, 74 anni, unica donna, è stata nominata dal presidente della Repubblica nel novembre 2005. Accanto a lei c’è Giuseppe Tesauro, 67 anni, nominato dal capo di Stato nel novembre 2005. Paolo Mario Napolitano, 65 anni, è stato eletto dal Parlamento nel luglio 2006. Giuseppe Frigo, eletto dal Parlamento a ottobre 2008, ha 74 anni. Paolo Grossi, 76 anni, è stato nominato dal presidente della Repubblica a febbraio di quest’anno. Infine, alla destra del presidente Amirante siede Alessandro Criscuolo, eletto dalla Corte di Cassazione a ottobre 2008: ha 72 anni.
Il Palazzo della Consulta, situato a Roma, in Piazza del Quirinale, è la sede della Corte. La sua collocazione esprime bene, simbolicamente, la posizione di questo Organo: sul colle “più alto” di Roma, faccia a faccia con il Palazzo del Quirinale, sede del presidente della Repubblica, massima istituzione rappresentativa, e a sua volta titolare prevalentemente - come la Corte - di compiti di garanzia; relativamente lontano, invece, dai palazzi della Roma “politica” (Montecitorio e Palazzo Madama, sedi delle due Camere; Palazzo Chigi, sede della presidenza del Consiglio, cioè del vertice del Governo; i vari ministeri) e della Roma “giudiziaria” (il “Palazzaccio”, sede della Corte di cassazione, cioè del vertice della magistratura).
La Corte infatti dialoga con la politica, ma non è essa stessa una istituzione “politica” in senso stretto. Non ha il compito di rappresentare i cittadini realizzando gli indirizzi e gli orientamenti da essi (o dalla loro maggioranza) prescelti, ma piuttosto quello di garantire il rispetto da parte di tutti della legge fondamentale della Repubblica, la Costituzione; proprio in relazione a questo compito e nel suo svolgimento, essa dialoga altresì con gli organi giurisdizionali, ma non è essa stessa un’istituzione giudiziaria come questi.

lunedì 5 ottobre 2009

Pa, la riforma piace a Confindustria e sindacati (non alla Cgil)


Roma, 5 ott (Velino) - Potrebbe arrivare già venerdì in Consiglio dei ministri la definitiva approvazione della riforma della Pubblica amministrazione. Lo ha annunciato il ministro della Pa e dell’innovazione Renato Brunetta al termine della consultazione con le parti sociali avvenuta oggi a Palazzo Chigi. Il decreto, ha specificato il ministro, entrerà in vigore subito dopo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale anche se ci sarà un periodo di sperimentazione “per verificare il buon funzionamento delle norme contenute nel decreto legislativo”, con rendiconti semestrali che verranno riferiti in Parlamento. Le verifiche, spiega Brunetta, “saranno incrociate, in modo tale che non solo il Parlamento ma anche le parti sociali siano informate dello stato di attuazione della riforma”. Durante la conferenza stampa Brunetta ha espresso soddisfazione per l’incontro con le parti sociali e ha sottolineato la velocità dell'iter seguito dal decreto legislativo: “Sono passati 14 mesi da quando il testo della legge delega è stato approvato per la prima volta in Consiglio dei ministri: una riforma così complessa ha quindi trovato attuazione in tempi molto rapidi”. Brunetta ha sottolineato che “il 98 per cento del testo del provvedimento è rimasto lo stesso rispetto a quello approvato dalla Conferenza unificata” dove sono state acquisite 30 modifiche, già esaminate dal Parlamento e quindi già inserite nel testo della delega.
Positive le reazioni dei sindacati, a eccezione della Cgil, allo schema di decreto legislativo. La Confsal – la Confederazione sindacale autonoma – condivide il decreto, individuandone comunque alcune “rigidità” (“con particolare riguardo alla procedura della valutazione”); la Uil sottolinea invece come si tratti di “un testo migliorato rispetto a quello inizialmente presentato” e dà il suo ok “all’applicazione del dispositivo legislativo come presentato, rafforzando la contrattazione”. La riforma del lavoro pubblico potrà trovare attuazione solo con il confronto “con i 3,5 milioni di lavoratori. E la scelta di avviare la sperimentazione di 24 mesi lo conferma”, aggiunge il segretario confederale della Cisl, Gianni Baratta. “L’obiettivo che sta a cuore della Cisl – continua il dirigente sindacale – è una riforma che vada alla ricerca di una maggiore competitività attraverso un sistema negoziale da tutti condiviso”. "Non tutto è perfetto, - ha concluso Baratta - ma il testo del decreto è cambiato molto grazie al contributo della conferenza Stato-Regione, al Governo e ai sindacati".
Apprezzamento è stato espresso anche da Confindustria, secondo cui “i principi generali e i dettagli in cui il provvedimento si articola” sono “presupposti essenziali per restituire efficienza ed efficacia alla Pubblica amministrazione”. “Riteniamo - ha dichiarato il direttore generale di Confindustria, Giampaolo Galli - che questo sia un passaggio essenziale per rilanciare la produttività e la crescita del Paese e per migliorare i livelli retributivi dei lavoratori”. Contraria la Cgil, secondo cui il provvedimento, ha detto il coordinatore nazionale del dipartimento settori pubblici della Cgil, Michele Gentile, “non aumenterà l'efficacia del pubblico impiego e rischia anche di portare a una riduzione degli stipendi, non essendoci in Finanziaria risorse adeguate per il rinnovo contrattuale. Nell'incontro a Palazzo Chigi “abbiamo ribadito le ragioni della nostra contrarietà a un provvedimento che, per come è costruito, è probabile che non aprirà una fase di maggiore efficacia della pubblica amministrazione”. Le norme discusse oggi prevedono sospensioni dal servizio fino al licenziamento e multe per i dipendenti più indisciplinati, assenteisti e fannulloni. Ma anche sanzioni e sospensioni per i dirigenti che non hanno ben vigilato. In compenso sarà valorizzata la qualità del lavoro, con meccanismi premiali (non più a pioggia ma per fasce di merito) e incentivi di natura economica per le amministrazioni più efficienti, come ha già iniziato a fare il ministro in questi ultimi mesi.

Considerazioni sulla sentenza cir fininvest


Che la sentenza a favore della cir di Carlo Debenedetti su Fininvest sia stata una mazzata contro Berlusconi,mi sembra abbastanza ovvio; ma da questo a pretendere,in modo arrogante(come sta' facendo questa opposizione che ci ritroviamo)le dimissioni del premier mi sembra assurdo.


E' assurdo perche' e' ancora una sentenza di 1° grado che successivamente puo' essere ribaltata.


E' assurdo perche' questa opposizione sa solo attaccarsi alle sentenze dei tribunali senza avere un minimo di idea e di programma alternativo.




Il pdl ha risposto dicendo "Gli attacchi che fuoriescano dai canoni dell’opposizione democratica, dura ma rispettosa delle istituzioni, ci portano ad assicurare che, in parlamento così come nel paese, forti di un consenso chiaramente e più volte espresso dagli italiani, il centrodestra proseguirà nella politica del fare e del governare, che nessun disegno eversivo potrà sconfiggere.


la tempistica e i contenuti di una sentenza che a 20 anni dai fatti arriva con sospetta puntualità, rafforzano l’opinione di quanti, come noi, pensano che vi sia chi sta tentando, con mezzi impropri, di contrastare la volontà democratica del popolo italiano. Mentre il governo berlusconi affronta con energia e consenso largamente maggioritario la realizzazione degli impegni assunti con gli elettori e ogni emergenza, si tenta, vanamente, di delegittimarne l’azione - hanno continuato i vertici del Pdl - siamo certi che questo disegno non troverà spazio nelle istituzioni e, ciascuno nella sua diversa responsabilità, agiscano partendo dal presupposto del rispetto della legalità e della sovranità popolare".




Deve essere chiaro a tutti quanti, coma ha ancora ricordato oggi il presidente della camera Fini,

che" la maggioranza e' quella che esce dalle urne" e il voto a dato ragione alla coalizione pdl-lega,piaccia o non piaccia.

L'opposizione si deve mettere in testa che non sara' una mezza sentenza per di piu' di 1°grado a far crollare il governo e che il governo e' stato eletto legittimamente dalla maggioranza degli italiani e che continuera' a governare fino alla fine del suo mandato.

Tutto il resto sono solo congetture di chi pur di prendere il potere e' disposto a passare sopra alle libere scelte di noi cittadini che consapevolmente abbiamo scelto Berlusconi come premier,anche perche' nell'attuale opposizione non c'e' un personaggio in grado di poter governare tenendo unita una coalizione.


Attacco al premier, Fininvest pronta al ricorso E Cicchitto: "In piazza contro il colpo di mano"


Milano - Tanto per dissipare gli scenari più clamorosi: non c’è alcuna possibilità che questa mattina e neppure domani gli ufficiali giudiziari bussino alla sede della Fininvest per pignorare quattrini o azioni per conto di Carlo De Benedetti. Che l’impatto della sentenza del tribunale di Milano - con la condanna del gruppo di Silvio Berlusconi a versare 750 milioni di risarcimento all’Ingegnere - sia potenzialmente devastante non c’è alcun dubbio. Ma prima che se ne vedano le conseguenze concrete passerà ancora un po’ di tempo. E gli avvocati del Biscione non sono ancora rassegnati al kappaò: nel ricorso in appello che si accingono a preparare, ci sarà anche la richiesta di sospendere l’efficacia della sentenza di primo grado, proprio per l’impatto irreparabile che la sua esecuzione avrebbe sull’equilibrio della Fininvest.
Intanto, però, dall’altra parte - in casa De Benedetti - si godono il successo, preparando le mosse successive. È indubitabile che se la sentenza del tribunale crea problemi enormi in casa Fininvest, pone anche la Cir di fronte a scelte non facili. La clamorosa decisione del giudice Raimondo Mesiano è un’arma in mano a De Benedetti. Sta adesso all’Ingegnere se usarla come una clava o se avviare - da posizioni di indubbia forza - una sorta di trattativa con l’avversario. De Benedetti i soldi li vuole. Ma le modalità con cui passerà all’incasso non sono scontate. E i primi segnali da via Ciovassino, sede della holding del proprietario di Repubblica, dicono che il primo approccio sarà relativamente morbido.
Nessun atto di precetto, nessun atto di forza. Appena sarà tecnicamente possibile, i legali dell’Ingegnere faranno partire una raccomandata all’indirizzo della Fininvest limitandosi a segnalare di avere in mano una sentenza esecutiva che obbliga il Biscione a pagare, e invitando Fininvest a comunicare come e quando intende assolvere questa obbligazione. Solo successivamente, in caso non arrivino risposte soddisfacenti, Cir passerà alle maniere forti: atti di precetto, e quindi pignoramento degli asset di Fininvest (cioè i pacchetti azionari di Mediaset, Mondadori, Mediolanum e Milan, più altre partecipazioni minori) fino al raggiungimento del valore.Prima che De Benedetti possa far partire la raccomandata passerà però ancora qualche giorno. Il primo passaggio è ottenere copia esecutiva della sentenza integrale, che dovrebbe essere disponibile già oggi nella cancelleria della Decima sezione civile. Poi la sentenza dovrà passare per l’Ufficio del registro, una struttura dell’Erario che si occupa degli aspetti fiscali. Infine l’atto di precetto, dieci giorni di attesa, poi l’esecuzione.
A meno che alla Fininvest non riesca la contromossa che potrebbe ribaltare lo scenario: convincere la Corte d’appello di Milano che la sentenza di Mesiano è così debole, e così micidiale nelle sue conseguenze, da sospenderne l’efficacia. Nel gergo degli avvocati civilisti si chiama inibitoria, ed è una misura che viene concessa assai raramente: ma è anche vero che in una causa assolutamente eccezionale - e non solo per i risvolti economici - come quella tra Cir e Fininvest, permettere a una sola sentenza, emanata da un singolo giudice, di deflagrare in tutta la sua potenza potrebbe essere considerato eccessivo anche da una Corte d’appello come quella milanese lontana dalle lusinghe del berlusconismo.

sabato 3 ottobre 2009

Il premier: "Dopo il mio governo solo il voto"

Roma - Parte da Annozero, solidarizza con Stefania Prestigiacomo (indagata per peculato dalla procura di Pisa), si sofferma sui rapporti con l’opposizione e - forse con un occhio alla decisione della Consulta sul Lodo Alfano - chiude a ogni possibilità di governissimo. Parla in Consiglio dei ministri Silvio Berlusconi e dice di aver «apprezzato» la scelta di parlamentari e ministri che hanno disertato lo studio di Michele Santoro perché in «trasmissioni del genere» è meglio non esserci. Tutto sono, chiosa, fuorché servizio pubblico. Concetto su cui insiste molto anche Paolo Bonaiuti, convinto che «la libertà di stampa non può essere identificata con le dieci domande di Repubblica o con una trasmissione come Annozero, da giorni annunciata con grande fragore come tutta dedicata ad andare contro il premier».Davanti ai ministri, però, è soprattutto dell’opposizione e del futuro che parla Berlusconi. Perché, ragiona, non c’è alcun dialogo con il centrosinistra che cerca solo di «intimidirci con le menzogne». Il Cavaliere, però, si dice «tranquillo» perché il governo durerà l’intera legislatura. «Ne ho parlato anche con Fini, dopo questo esecutivo - aggiunge - non c’è nient’altro che il voto». Un ragionamento che è difficile non legare alla decisione della Corte costituzionale sul Lodo Alfano attesa per la prossima settimana e sulla quale da almeno 48 ore sia Angelino Alfano che Niccolò Ghedini hanno iniziato in privato a manifestare una certa preoccupazione. Sono in molti, infatti, a sperare in una bocciatura tout court che possa aprire la breccia a un governissimo. Un’ipotesi che il premier respinge categoricamente, cosciente di avere dalla sua Pdl e Lega senza i quali non è possibile ipotizzare maggioranze parlamentari diverse. A meno che il presidente della Camera - forte di una pattuglia di fedelissimi - non si presti al gioco. Certo, la scelta di Gianfranco Fini che ieri ha voluto pubblicamente rinunciare al Lodo Alfano per difendersi dalla querela di Henry Woodcock non è passata inosservata e a Palazzo Grazioli sono in molti vederla come una «provocazione», ma di qui a prestarsi a una manovra di Palazzo con il resto dell’opposizione ce ne vuole. Anche perché, sintetizza un ministro vicino al Cavaliere, poi «farebbe la fine di Lamberto Dini che oggi si ritrova a fatica un seggio in Senato». Uno scenario, quello descritto da Berlusconi in Consiglio dei ministri, che in qualche modo troverebbe conferma anche nell’attivismo del Quirinale, da giorni impegnato in una sotterranea e informale morual suasion sulla Consulta affinché tenga ben presente le conseguenze politiche delle sue decisioni.Ma non solo di Annozero e Lodo Alfano si occupa Berlusconi, alle prese anche con le tante assenze durante il voto finale del decreto che contiene lo scudo fiscale. Il testo passa per 20 voti e se l’opposizione fosse stata al completo la norma tanto contestata da Pd, Idv e Udc sarebbe stata bocciata aprendo un falla enorme nel governo. Circostanza che fa infuriare il Cavaliere, che ne ha per tutti gli assenti compreso Giulio Tremonti (ieri di rientro da Goteborg). D’altra parte, è ormai da qualche mese che ci sono frizioni con il ministro dell’Economia, concentrato soprattutto sul chiudere i cordoni della borsa in tutte le occasioni possibili. Circostanza che più d’una volta ha messo il premier in difficoltà rispetto a impegni già presi con i ministri e che ultimamente ha trovato anche forti perplessità in Gianni Letta (non a caso i 3-4 miliardi che dovrebbero arrivare dallo scudo fiscale finiranno in un fondo speciale gestito da Palazzo Chigi). Con qualche incomprensione, pare, anche su Corrado Passera, l’ad di Intesa San Paolo che non ha sottoscritto i Tremonti bond.

Prima di volare a Milano per la prima del Barbarossa, nel pomeriggio il premier torna su Annozero in una riunione con Boaniuti. La convinzione di tutti e due è che non si debba «far diventare Santoro un martire» perché «non chiede altro». Insomma, continuare a caricare d’attesa ogni puntata di Annozero significa soltanto impennarne gli indici di ascolto come confermano gli oltre sette milioni di spettatori di giovedì. L’intenzione, dunque, è quella di rispondere sì colpo su colpo ma seguendo una strategia soft. Anche se, assicura Bonaiuti, «non ci sarà alcuna contro-programmazione perché il servizio pubblico non è fatto per mettere una contro l’altra una trasmissione di destra e una di sinistra». Insomma, spiega Berlusconi in collegamento telefonico con la festa della Dc per le Autonomie, la manifestazione per la libertà di stampa di oggi «è una vera farsa» perché «la libertà è molto più ampia in Italia di qualunque altro Paese occidentale».

Scudo fiscale, Napolitano alza la voce: ''Non firmare non significa niente''

Potenza, 3 ott. (Adnkronos) - ''Nella Costituzione c'è scritto che il presidente promulga le leggi. Se non firmo oggi, il Parlamento vota un'altra volta quella legge. Nella Costituzione c'è scritto che a quel punto io sono obbligato a firmare. Se mi dite non firmare, allora non sapete che non significa niente''. Così il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha risposto ad alcuni cittadini che a Rionero in Vulture, in provincia di Potenza, gli chiedevano di non firmare la legge sullo 'scudo fiscale'.

http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/Scudo-fiscale-Napolitano-alza-la-voce-Non-firmare-non-significa-nulla_3839086262.html